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Messaggio Da Kaiser Mer 15 Feb 2012, 15:21

Marco recensisce il CD della Vanoni - Panorama, novembre 2010
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Marco Mengoni: «Buona fortuna, Michael. Ovunque tu sia»
18 giugno 2010
VANITY FAIR
di Marco Mengoni

Black Or White, con quel riff di chitarra... Questo è stato il mio primo contatto con Michael Jackson (l'artista morto un anno fa, il 25 giugno 2009, a Los Angeles, ndr). Una voce diversa da tutte, un ritmo interiore, una potenza pop, una forza mista a dolcezza fuori dal comune.
Ho comprato l'album più famoso, Thriller. Poi sono andato a cercarlo in Rete. Per me è stata un'epifania. Impossibile spiegare l'effetto che hanno avuto su di me quei video, quei brani. Vocalità di un angelo, passi sospesi, leggeri, perfetti. Divertente, emozionante. C'era in lui qualcosa di più, ero di fronte a un artista a tutto tondo, a una sensibilità delicata, misteriosa.
Questa sua voglia di brillare così, semplicemente, questa capacità di mettersi in gioco, di trasformarsi in zombie, Peter Pan, sex symbol, ballerino, tutto mi incantava e mi incanta in lui.
E ancora, mi incanta e mi incuriosisce il tormento interiore che non gli ha mai dato pace, questo essere uno degli idoli pop più amati del pianeta e, per contrasto, non amarsi mai abbastanza, non piacersi mai, sempre alla ricerca di qualcosa di irraggiungibile.
Lui era il Re. Ma ciò che mi colpisce davvero è che per me Michael Jackson, icona eterna e immortale, per sempre splendente nel mondo del pop, non ha mai vissuto davvero. Lo vedo sempre circondato da un'aura di dolore. Solo. Incapace di essere qualcosa di terreno, di sporcarsi di vita vera. È proprio ciò che era, questa sua imperfezione, a renderlo così grande ai miei occhi.
E viene criticato ancora, in vita come in morte. Sfido tutti questi critici severi a dire, guardandomi negli occhi, che non conoscono a memoria la melodia di Heal the World. Scommetto che quando sono in auto da soli e in programmazione arriva Billie Jean, la mano non riesce a star ferma e insegue quel battito micidiale, che non perdona nella sua perfezione.
Ecco. Potrei parlare di You Are Not Alone cantato con gli amici in completa pace dell'anima, di notte, di ritorno da una gita, assaporando nota per nota. Di come mi diverto con la band a rifare They Don't Care About Us. O di come batteva il mio cuore quando nella prima puntata di X Factor ho intonato la prima frase di Man In the Mirror cercando di portare il rispetto dovuto a questo Artista e alle sue canzoni. Ma come lo chiudo questo discorso?
Semplice: ammettendo, commosso, la mia fortuna. Perché ho calpestato il suolo della Terra contemporaneamente a lui, perché siamo stati sotto lo stesso cielo, illuminati dalle stesse stelle.
Buona fortuna, Michael, ovunque tu sia.



da VF - 15/02/2012
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