DEPECHE MODE
+10
Zoe
Guenda
lilli3
Therese
Iaia
camila
Alux
Aeris
Delilah
DarkLullaby
14 partecipanti
Pagina 4 di 5 • 1, 2, 3, 4, 5
Re: DEPECHE MODE
Delilah ha scritto:Mio marito mi ha detto adesso che mi ha ordinato il vinile
Fantastico!!!
Edit: no vabbe' sono sempre avanti
Re: DEPECHE MODE
Che bravo marito che hai!Delilah ha scritto:Mio marito mi ha detto adesso che mi ha ordinato il vinile
Finalmente è partita l'anteprima
Alux- Messaggi : 11510
Data d'iscrizione : 13.05.10
Età : 43
Re: DEPECHE MODE
Attenziò attenziò
Chi non è riuscito a prendere i biglietti per le prossime date di luglio, avrà la possibilità di rifarsi...oggi hanno comunicato che aggiungeranno altre tre date in Italia, nella parte terminale del tour (quindi si parla del 2014).
Le prevendite apriranno venerdì 5 luglio
http://www.depechemode.com/tour/
Chi non è riuscito a prendere i biglietti per le prossime date di luglio, avrà la possibilità di rifarsi...oggi hanno comunicato che aggiungeranno altre tre date in Italia, nella parte terminale del tour (quindi si parla del 2014).
Le prevendite apriranno venerdì 5 luglio
http://www.depechemode.com/tour/
Re: DEPECHE MODE
Anche io ci sarò a San Siro!
In prato!
Spero di vedervi là a condividere un'altra nostra passione comune!
In prato!
Spero di vedervi là a condividere un'altra nostra passione comune!
longolisa- Messaggi : 22
Data d'iscrizione : 31.05.13
Età : 41
Località : Mestre
Re: DEPECHE MODE
Evvai Lisa io niente prato, non ciò il fisico, mai avuto, nemmeno a 20 anni per Sting ci andavo
Re: DEPECHE MODE
Andromeda, dove sarai? io nel settore verde: guardando il palco sono sulla sinistra.
Re: DEPECHE MODE
Delilah ha scritto:Andromeda, dove sarai? io nel settore verde: guardando il palco sono sulla sinistra.
Io nel prato ho tentato....so già che ne uscirò morta
Ospite- Ospite
Re: DEPECHE MODE
andromeda ha scritto:Delilah ha scritto:Andromeda, dove sarai? io nel settore verde: guardando il palco sono sulla sinistra.
Io nel prato ho tentato....so già che ne uscirò morta
Vabbé, ma tu sei cciovane, te la puoi cavare
Re: DEPECHE MODE
Delilah ha scritto:Evvai Lisa io niente prato, non ciò il fisico, mai avuto, nemmeno a 20 anni per Sting ci andavo
I Depeche a San Siro li ho visti anche dal 2° anello blu, ma vedevo Dave piccolo piccolo, preferisco vivere i concerti in prato, per vedere meglio l'artista e perchè c'è un'atmosfera pazzesca sotto palco!
Fisico o non fisico, io devo essere in prato!
C'ho 'n'ansia che non vi dico!
longolisa- Messaggi : 22
Data d'iscrizione : 31.05.13
Età : 41
Località : Mestre
Re: DEPECHE MODE
Depeche Mode, stile e carisma
Un rito laico sul palco di San Siro
I Depeche Mode durante la prima tappa italiana da tutto esaurito delle due previste per il nuovo tour che sabato porterà il gruppo di Dave Gahan anche a Roma
A Milano in cinquantasettemila per il tour dagli incassi record
LUCA DONDONI
La signora seduta sulla scalinata di fianco alla tribuna stampa non nasconde i suoi cinquant’anni; si è messa una corona in testa e un mantello da Regina bordato di ermellino (o da Re se ne vogliamo immaginare l’ispirazione nata dall’aver visto mille volte la clip di “Enjoy the silence”). Non se ne vergogna, anzi ne è orgogliosa.
I fans dei Depeche Mode sono fatti così. Il loro gruppo preferito è un’icona, la loro musica la colonna sonora della vita, i loro clip film da vedere per entrare in empatia. Immaginatevi cosa significa essere al concerto. Dividere con Dave Gahan, Martin Gore e Andy Fletcher (il batterista e il secondo tastierista aggiunti sono Christian Eigner e Peter Gordeno) anche un solo minuto di vita. Lo sanno i tanti che hanno pagato il costo del biglietto senza far una piega e hanno esaurito ogni data da qui alla fine del tour. Sessanta milioni di dollari in due mesi. Nemmeno Bruce Springsteen e la sua E Street Band sono riusciti a fare lo stesso e questa dei Depeche Mode sarà uno dei live act più remunerativi dell’anno.
21,09 si comincia. Dave Gahan entra accennando dei passi di danza classica osannato dalle centinaia di telefonini che si accendono per immortalarlo, rubarne i passi, fermare l’espressione. “Welcome to my World” dà il via a una celebrazione che la gente canta a memoria mentre il titolo del pezzo si disegna con pennellate bianche sul drappo nero che sta alle spalle del gruppo. Ma c’è ancora troppa luce e le scenografie, così come gli effetti luce inventati per il tour da Anton Corbjin (il super fotografo e regista che segue la band da oltre vent’anni). Finalmente su “Angel” i megaschermi mostrano l’immagine del cantante con gli occhi contornati dal kajal e un gilet nero sul davanti e giallo ocra sulla schiena. Boati delle donne e di tanti uomini. Sono cinquantasettemila le persone dentro il catino del Meazza e tanto basta per farvi capire come la “fede Depeche” non solo non ha mai vacillato ma la “Messa Cantata” è qualcosa che non si può mancare. “Walking in My shoes” dimostra come se sopravvivi a un arresto cardiaco, a un’overdose di eroina/cocaina e a un carcinoma alla vescica c’è solo un motivo. A) non era il tuo momento; B) devi stare su questa Terra per dare ancora qualcosa al tuo prossimo. Dave: “Sono un uomo fortunato e qualcuno lassù mi ha preso per i capelli e ha deciso che dovessi continuare a vivere per chi mi vuole bene, per me”.
I volumi di San Siro non sono quelli che ci si aspetterebbe e forse un giorno qualche legislatore guarderà da queste parti e deciderà di mettere una mano sul capo di chi controlla i decibel. Ma questa è un’altra storia.
“Precious” è così morbida che verrebbe voglia di salire sul palco e abbracciare Martin Gore mentre accarezza la sua chitarra rossa in un accordo a loop che sembra infinito.
Gahan sculetta mettendoci di spalle alla platea e sa che è questo che i suoi ragazzi e le sue ragazze vogliono, sospirano, applaudono. L’attacco di “Black Celebration” fa venir voglia di mimare il movimento delle bacchette della batteria ma poi arriva la voce e si sta zitti e si ascolta.
Siamo solo all’inizio ma l’impressione è che la scaletta sia una delle più intelligenti si siano viste e ascoltate sinora. Vecchio e nuovo, vecchissimo e sconosciuto si inseguono in un pong pong che fa bene al cuore e all’anima. Come non applaudire “The policy of truth” dove si vede che DG si sta divertendo come un matto a ballare, a cantare e poi ad ammiccare verso quelle telecamere che conosce benissimo e il 20 a Roma lo vedranno riproporre questo schema che piace, piace da pazzi. Se vi venisse in mente o anche per un solo secondo aveste desiderato che il vostro cantante preferito si producesse in una lap-dance usando l’asta del microfono come fosse un palo al quale strusciarsi senza freni...non disperate...accadrà. Anche a Roma.
“Should be higher” è più onirica, quasi appesa per un capello alla notte che sta scendendo su Milano e comincia a regalare al pubblico immagini che finalmente hanno molto a che fare con la poetica del gruppo. Negli schermi le fiamme. Negli occhi di Dave la voglia di affabulare, coinvolgere, ipnotizzare “la sua gente”. Chi è la sua gente? La signora vestita da Regina o il figlio che ha appena compiuto vent’anni, non se ne fa nulla dei teen idols (lo hanno cresciuto bene) ed è qui a vedere per la prima volta quel l’uomo del quale la madre gli parla da una vita. C’è il funzionario di banca con la corte di amici del liceo che la domenica va a fare la ciaspolata in montagna ma non ha mai dimenticato i suoi teen. Stagioni durante le quali lui e i suoi amici ascoltavano i Depeche Mode e pensavano fosse il massimo della trasgressione. Mesi passati a mandare a memoria le canzoni dei “Depesc” (così come lo leggete) per ricantarle con la fidanzatina alle feste dove il climax era il “gioco della bottiglia”.
“Barrel of a gun” va via liscia mentre su “Higher love” il proscenio è tutto per Martin Gore che si mette al centro e canta tutto solo. Dave corre in camerino a darsi un’asciugata al sudore e, forse, una botta di gel ai capelli. Per il make up del front man però serve più tempo e anche su “Sheke the desease” in versione acustica (solo voce e piano) è Gore a prendersi tutti gli yeah e i battiti di mani a tempo tra un “understand me” e l’altro. Un pensiero: ah, quanti ragazzini dovrebbero venire a un concerto come questo e imparare, imparare, imparare.
“Heaven” è di tutti e tutti la intonano. “Sometimes....and over and over...” Facile. Davvero vien da pensare che se questo stesso palco lo avessero montato al vicino Ippodromo dove si esibiscono gruppi forti ma (facendo le debite proporzioni) minori, nessuno avrebbe fatto una piega. Lo stage non è grande, non è lungo (la metà di quello di Jovanotti, Bon Jovi o Springsteen) e la passerella che entra nella platea permettetecelo, fa ridere. Eppure...eppure i Depeche Mode sono qui, in questa fresca serata milanese a dimostrare che le diavolerie tecnologiche sono nulla senza la sostanza delle canzoni, di una ritmica che da sola vale dieci, cento, mille schermi. Con “Soothe My soul” dall’ultimo “Delta Machine” le gambe non riescono a stare ferme ma le braccia e le mani non sono da meno. “There’s only one Say to soothe my soul” c’è solo un modo di far star bene l’anima di chi è al Meazza e Gahan, Gore e Fletcher sanno come fare.
“Pain that I’m used to” insegue “Question of time” che si veste di colori che vanno dal rosso al blu intenso e scatena un pubblico che non aspetta altro se non di battere le mani con i ritmi che erano degli anni “anta” e quando tornano “accendono” quasi fossero scaturiti oggi dalla pietra focaia dell’Inghilterra più elettrica.
Ci avviciniamo alla fine del set principale e si abbassano le ali del sound con “Secret” anche se saremo pronti a volare con una “Enjoy the silence” ricantata quasi fosse “il verbo” definitivo. Scriviamo che dopo il trionfo che potete sentire sulla pelle anche se state leggendo questo pezzo in un momento post prandiale, arriva a spaccare ogni certezza una “Personal Jesus” da brividi e “Goodbye” che non è stata messa lì a caso.
BIS
“Home”, “Halo”, “Just can’t get enough”, “I feel you” e la parola fine, definitiva, che viene urlata su “Never Let me down” danno il senso di uno spettacolo che se si presenta sussurrato, quasi timido all’inizio, diventa un torrente in piena. Uno show, quello dei DM che dimostra ancora una volta (semmai c’è ne fosse bisogno) come ci siano davvero artisti di serie A, di serie B e di serie C. No, non è disparità culturale e nemmeno snobismo critico. Chiunque sia capitato al Meazza perché ha accompagnato l’amico, il genitore (tanti), la fidanzata o il fidanzato infoiato per Gahan e soci, uscendo si porterà nella memoria l’essenza stessa dell’essere rockstar. Canzoni bellissime. Padronanza di palco. Carisma infinito. Espressività all’ennesima potenza. Questi sono i Depeche Mode. Ancora.
Fonte: la Stampa.it
Un rito laico sul palco di San Siro
I Depeche Mode durante la prima tappa italiana da tutto esaurito delle due previste per il nuovo tour che sabato porterà il gruppo di Dave Gahan anche a Roma
A Milano in cinquantasettemila per il tour dagli incassi record
LUCA DONDONI
La signora seduta sulla scalinata di fianco alla tribuna stampa non nasconde i suoi cinquant’anni; si è messa una corona in testa e un mantello da Regina bordato di ermellino (o da Re se ne vogliamo immaginare l’ispirazione nata dall’aver visto mille volte la clip di “Enjoy the silence”). Non se ne vergogna, anzi ne è orgogliosa.
I fans dei Depeche Mode sono fatti così. Il loro gruppo preferito è un’icona, la loro musica la colonna sonora della vita, i loro clip film da vedere per entrare in empatia. Immaginatevi cosa significa essere al concerto. Dividere con Dave Gahan, Martin Gore e Andy Fletcher (il batterista e il secondo tastierista aggiunti sono Christian Eigner e Peter Gordeno) anche un solo minuto di vita. Lo sanno i tanti che hanno pagato il costo del biglietto senza far una piega e hanno esaurito ogni data da qui alla fine del tour. Sessanta milioni di dollari in due mesi. Nemmeno Bruce Springsteen e la sua E Street Band sono riusciti a fare lo stesso e questa dei Depeche Mode sarà uno dei live act più remunerativi dell’anno.
21,09 si comincia. Dave Gahan entra accennando dei passi di danza classica osannato dalle centinaia di telefonini che si accendono per immortalarlo, rubarne i passi, fermare l’espressione. “Welcome to my World” dà il via a una celebrazione che la gente canta a memoria mentre il titolo del pezzo si disegna con pennellate bianche sul drappo nero che sta alle spalle del gruppo. Ma c’è ancora troppa luce e le scenografie, così come gli effetti luce inventati per il tour da Anton Corbjin (il super fotografo e regista che segue la band da oltre vent’anni). Finalmente su “Angel” i megaschermi mostrano l’immagine del cantante con gli occhi contornati dal kajal e un gilet nero sul davanti e giallo ocra sulla schiena. Boati delle donne e di tanti uomini. Sono cinquantasettemila le persone dentro il catino del Meazza e tanto basta per farvi capire come la “fede Depeche” non solo non ha mai vacillato ma la “Messa Cantata” è qualcosa che non si può mancare. “Walking in My shoes” dimostra come se sopravvivi a un arresto cardiaco, a un’overdose di eroina/cocaina e a un carcinoma alla vescica c’è solo un motivo. A) non era il tuo momento; B) devi stare su questa Terra per dare ancora qualcosa al tuo prossimo. Dave: “Sono un uomo fortunato e qualcuno lassù mi ha preso per i capelli e ha deciso che dovessi continuare a vivere per chi mi vuole bene, per me”.
I volumi di San Siro non sono quelli che ci si aspetterebbe e forse un giorno qualche legislatore guarderà da queste parti e deciderà di mettere una mano sul capo di chi controlla i decibel. Ma questa è un’altra storia.
“Precious” è così morbida che verrebbe voglia di salire sul palco e abbracciare Martin Gore mentre accarezza la sua chitarra rossa in un accordo a loop che sembra infinito.
Gahan sculetta mettendoci di spalle alla platea e sa che è questo che i suoi ragazzi e le sue ragazze vogliono, sospirano, applaudono. L’attacco di “Black Celebration” fa venir voglia di mimare il movimento delle bacchette della batteria ma poi arriva la voce e si sta zitti e si ascolta.
Siamo solo all’inizio ma l’impressione è che la scaletta sia una delle più intelligenti si siano viste e ascoltate sinora. Vecchio e nuovo, vecchissimo e sconosciuto si inseguono in un pong pong che fa bene al cuore e all’anima. Come non applaudire “The policy of truth” dove si vede che DG si sta divertendo come un matto a ballare, a cantare e poi ad ammiccare verso quelle telecamere che conosce benissimo e il 20 a Roma lo vedranno riproporre questo schema che piace, piace da pazzi. Se vi venisse in mente o anche per un solo secondo aveste desiderato che il vostro cantante preferito si producesse in una lap-dance usando l’asta del microfono come fosse un palo al quale strusciarsi senza freni...non disperate...accadrà. Anche a Roma.
“Should be higher” è più onirica, quasi appesa per un capello alla notte che sta scendendo su Milano e comincia a regalare al pubblico immagini che finalmente hanno molto a che fare con la poetica del gruppo. Negli schermi le fiamme. Negli occhi di Dave la voglia di affabulare, coinvolgere, ipnotizzare “la sua gente”. Chi è la sua gente? La signora vestita da Regina o il figlio che ha appena compiuto vent’anni, non se ne fa nulla dei teen idols (lo hanno cresciuto bene) ed è qui a vedere per la prima volta quel l’uomo del quale la madre gli parla da una vita. C’è il funzionario di banca con la corte di amici del liceo che la domenica va a fare la ciaspolata in montagna ma non ha mai dimenticato i suoi teen. Stagioni durante le quali lui e i suoi amici ascoltavano i Depeche Mode e pensavano fosse il massimo della trasgressione. Mesi passati a mandare a memoria le canzoni dei “Depesc” (così come lo leggete) per ricantarle con la fidanzatina alle feste dove il climax era il “gioco della bottiglia”.
“Barrel of a gun” va via liscia mentre su “Higher love” il proscenio è tutto per Martin Gore che si mette al centro e canta tutto solo. Dave corre in camerino a darsi un’asciugata al sudore e, forse, una botta di gel ai capelli. Per il make up del front man però serve più tempo e anche su “Sheke the desease” in versione acustica (solo voce e piano) è Gore a prendersi tutti gli yeah e i battiti di mani a tempo tra un “understand me” e l’altro. Un pensiero: ah, quanti ragazzini dovrebbero venire a un concerto come questo e imparare, imparare, imparare.
“Heaven” è di tutti e tutti la intonano. “Sometimes....and over and over...” Facile. Davvero vien da pensare che se questo stesso palco lo avessero montato al vicino Ippodromo dove si esibiscono gruppi forti ma (facendo le debite proporzioni) minori, nessuno avrebbe fatto una piega. Lo stage non è grande, non è lungo (la metà di quello di Jovanotti, Bon Jovi o Springsteen) e la passerella che entra nella platea permettetecelo, fa ridere. Eppure...eppure i Depeche Mode sono qui, in questa fresca serata milanese a dimostrare che le diavolerie tecnologiche sono nulla senza la sostanza delle canzoni, di una ritmica che da sola vale dieci, cento, mille schermi. Con “Soothe My soul” dall’ultimo “Delta Machine” le gambe non riescono a stare ferme ma le braccia e le mani non sono da meno. “There’s only one Say to soothe my soul” c’è solo un modo di far star bene l’anima di chi è al Meazza e Gahan, Gore e Fletcher sanno come fare.
“Pain that I’m used to” insegue “Question of time” che si veste di colori che vanno dal rosso al blu intenso e scatena un pubblico che non aspetta altro se non di battere le mani con i ritmi che erano degli anni “anta” e quando tornano “accendono” quasi fossero scaturiti oggi dalla pietra focaia dell’Inghilterra più elettrica.
Ci avviciniamo alla fine del set principale e si abbassano le ali del sound con “Secret” anche se saremo pronti a volare con una “Enjoy the silence” ricantata quasi fosse “il verbo” definitivo. Scriviamo che dopo il trionfo che potete sentire sulla pelle anche se state leggendo questo pezzo in un momento post prandiale, arriva a spaccare ogni certezza una “Personal Jesus” da brividi e “Goodbye” che non è stata messa lì a caso.
BIS
“Home”, “Halo”, “Just can’t get enough”, “I feel you” e la parola fine, definitiva, che viene urlata su “Never Let me down” danno il senso di uno spettacolo che se si presenta sussurrato, quasi timido all’inizio, diventa un torrente in piena. Uno show, quello dei DM che dimostra ancora una volta (semmai c’è ne fosse bisogno) come ci siano davvero artisti di serie A, di serie B e di serie C. No, non è disparità culturale e nemmeno snobismo critico. Chiunque sia capitato al Meazza perché ha accompagnato l’amico, il genitore (tanti), la fidanzata o il fidanzato infoiato per Gahan e soci, uscendo si porterà nella memoria l’essenza stessa dell’essere rockstar. Canzoni bellissime. Padronanza di palco. Carisma infinito. Espressività all’ennesima potenza. Questi sono i Depeche Mode. Ancora.
Fonte: la Stampa.it
Kaiser- Messaggi : 11889
Data d'iscrizione : 12.05.10
Età : 69
Re: DEPECHE MODE
Io dico solo: bello, bello, bello
Depeche Mode a S. Siro: festa per 60.000
Due ore e mezzo di pura energia, tra i brani che hanno fatto la storia e l’ultimo album. Sabato si replica a Roma
Una nera celebrazione per 60.000, una messa laica, San Siro chiesa del rock e dell’elettronica. Maestri del culto i Depeche Mode: giovedì la band inglese si è impossessata dello stadio, dimostrando di sapere ancora il fatto suo, a oltre trent’anni dalla partenza in quel di Basildon, deep England. E a quattro dall’ultimo transito da queste parti. Dove, se possibile, hanno fatto ancor meglio rispetto al San Siro del 2009, allora un poco fuori forma e l’audio non fu perfetto. Niente di tutto questo.
L’EROGENO DAVE - Ebbene, sul loop ipnotico della freschissima «Welcome to My World», si presenta composto l’uomo che doveva morire almeno quattro volte, il 51enne Dave Gahan di professione cantante e di fatto un sopravvissuto, con una sobria giacchetta nera e quasi di soppiatto. Ma è una finta, un inganno: dura trenta secondi, la giacchetta vola via e Gahan occupa, con la sua sola presenza, tutto il gigantesco palco. Salta, corre, fa roteare le braccia e il microfono, sinuosamente muove la pelvi, le mani sempre sui fianchi, sua mossa classica: è un amplesso tra lui e i 60.000 dello stadio («sold out» oggi, «sold out» sabato a Roma), Dave non si fermerà più per tutte le due ore e oltre del concerto. Perché Dave è uno dei più grandi performer della Terra. E in quanto ad appeal puramente erogeno, è secondo forse solo a sua maestà Mick Jagger. I 60.000 di San Siro, già: la fascia d’età è rigida, 35-45 ovvero chi è cresciuto negli anni 80 o quelli ha ancora respirato pure nella decade successiva. Donne in prevalenza, mentre i pochi ragazzini presenti sono i figli del popolo di cui sopra. E viene subito «Walking in My Shoes», al terzo round, «prova a metterti nei miei panni», messaggio che non sfiorisce mai, canzone che subito infiamma le signore sul prato e in cima al secondo anello.
NUOVE CANZONI, NIENTE NOIA - E, oltre a Andy Fletcher, imperturbabile alle tastiere, c’è pure Martin Gore, il cervello dei Depeche, l’autore di tutte le canzoni che hanno consegnato la band di Basildon alla storia del rock. E a un certo punto prova a rubare un po’ la scena a Gahan, imbracciando la chitarra in solitaria su «Higher Love»: non è proprio il suo, perché il suo è scovare le idee e i suoni. Ma poi regala una versione da urlo di «Shake the Disease» che diviene uno dei momenti-clou del concerto. E lo stadio ammutolisce. Ma il microfono appartiene a Gahan che lo riprende su«Soothe My Soul», martellante e danzereccio pezzo del nuovo album «Delta Machine». Ecco, scorrono diversi brani dall’ultima fatica dei Depeche, dalle iniziali sopracitate fino all’ultima che chiude il set «Goodbye»: il bello è che sembrano coevi degli album monstre della band, i «Violator» o i «Black Celebration». Ovvero sufficientemente oscuri, musicalmente robusti, rock’n’roll ad alta intensità su tappeti d’elettronica. Tant’è che non vedi tra il pubblico le facce scontente di chi in altre circostanze direbbe: «Che noia, le nuove canzoni».
ACCENDINI E MANIFESTI - Il concerto scorre veloce, non si parla tra una canzone e l’altra. E una volta tanto i visual sopra e ai lati non sono fastidiosi, punteggiano intelligentemente la musica. Perché, ad essa, non si devono sostituire. Su «A Question of Time» lo stadio ondeggia pericolosamente, su «Enjoy the Silence», i nuovi accendini, gli Smartphone, illuminano a giorno la notte di San Siro, mentre è assordante l’urlo delle donne; «Personal Jesus», ognuno di noi ha il suo messia, sembra inizialmente la celebre cover di Johnny Cash tanto è lenta e lancinante, ma poi ritorna quello che è, mirabile sintesi tra rock d’alta scuola e praterie d’elettronica. Infine i bis, Martin Gore dirige liturgicamente le masse come un sacerdote su «Home», poi con «Just Can't Get Enough» si ritorna alle primissime radici e San Siro sembra una discoteca di inizio Anni 80. Fino alle battute conclusive di «Never Let Me Down Again»: «I'm taking a ride with my best friend», canzone d’eccessi e di cadute, manifesto-ammonimento perenne. Ma, stasera, non era sera di cadute.
fonte
Tutto esaurito a San Siro per la band inglese, tra le più longeve e di successo della scena pop-rock internazionale. Pezzi del nuovo disco, Delta Machine, in cui rivendicano l'anima e le radici blues, alternati alle hit della loro grande tradizione. Che hanno fatto cantare e ballare lo stadio
di GINO CASTALDO
MILANO - Arrivano come principi, maestosi signori del rock elettronico, con la voce di Dave Gahan che subito getta in avanti i suoi brandelli di passione sulle trame sintetiche di Welcome to my world, incipit del nuovo disco e quindi del tour in corso (che sabato arriverà all'Olimpico di Roma). E non c'è modo migliore di entrare in questo mondo dominato dalla costante esplorazione della relazione tra uomo e macchina, tra naturale e artificiale, analogia e tecnologia, il cuore adagiato su un tappeto elettrico, cullato da una delle cruciali dinamiche che spiegano il nostro tempo.
I Depeche Mode sono un crocevia di correnti emotive, declinate a partire da un sotterraneo blues del nuovo secolo, filtrate da un soul argutamente plastificato, e narrano il loro romanzo contemporaneo alternando pezzi del nuovo disco, Angel, Heaven, una travolgente Soothe my soul, ai gioielli del passato come Walking in my shoes, fin dentro la cupa rivelazione di Black celebration o la vigile scossa di Policy of truth, tratta da Violator, loro capolavoro e in più legato a doppio filo con l'Italia perché in parte registrato proprio qui a Milano, dove stasera stanno riempiendo lo stadio di postmoderni ancheggiamenti, rapide e solenni affermazioni di potenza.
E il tutto condito dalla grafica e dalle immagini di Anton Corbijn che è a sua volta un maestro nell'uso della semplicità immaginifica come strumento di decoro e di arricchimento visivo. Un semplice bianco e nero sullo sfondo, poche scintille, dei cani che fissano lo schermo come se guardassero i protagonisti sul palco, pochi ma necessari elementi concepiti da uno dei pochi ad aver capito che in uno stadio anche una goccia fa rumore, e a volte basta quella per creare la più potente delle evocazioni. I Depeche, va detto, sono in grande forma, sembrano godere di questa condizione adulta, di piena maturità, trentatre anni di carriera, tormentosa, ricca di colpi scena, mutazioni, morti e rinascite, perfettamente consapevoli dei loro mezzi, e costruiscono sul palco un concerto molto diretto, proteso in avanti, molto rock in un certo senso, o comunque stracolmo di energia, un'onda di chitarre, percussioni e tastiere elettroniche che monta, non lascia spazi vuoti e cresce con Question of time, Secret, così che quando arriva Enjoy the silence lo stadio può liberarsi in un trionfo di passione, di estatico godimento, come fosse l'atteso momento di piena felicità, quando è possibile condividere ogni singola nota, ogni singola frase, come fossero tasselli di un irripetibile momento di empatia collettiva, e tutto questo inneggiando al silenzio.
Poi ribadiscono questa ferrea, monumentale pratica emotiva col martellamento incalzante di Personal Jesus. E su Goodbye Corbijn ne inventa un'altra delle sue, proiettando l'immagine in bianco e nero dei tre Depeche, immobili, imperturbabili, che sulla panchina di un parco guardando dritto davanti a sé si scambiano cappelli. Finisce qui, teoricamente, prima del rituale ritorno in scena per la finale sequenza dei bis, ovviamente implacabile, inaugurata da Martin Gore che va a prendersi il centro della scena, come aveva già fatto a metà concerto, accompagnato solo dalle note di un pianoforte, per cantare l'elegia di Home, al netto di tutto, acustico e spoglio, con lo stadio che gli fa da coro. E lo fa talmente bene che a un certo punto Gore si mette a dirigere le voci, e in questo gli italiani si fanno sempre valere, e intonano perfettamente le note della canzone e continuano anche quando le luci si spengono e il gruppo sta per riprendere con la sua forma completa e Gahan rientra in scena continuando a giocare con le voci che corrono da una gradinata all'altra. E si conclude cadendo verso il finale con gli ultimi fuochi d'artificio, Halo, poi la festa dance di Just can't get enough, I feel for you, e infine il pezzo con cui il gruppo ama chiudere sempre i concerti, ovvero Never let me down, che risale al disco Music for the masses, titolo che voleva essere ironico ma diventò ineluttabile realtà di un percorso che porta dritto fino al concerto che ha fatto saltare all'unisono l'intero stadio di San Siro.
Fonte
Depeche Mode a S. Siro: festa per 60.000
Due ore e mezzo di pura energia, tra i brani che hanno fatto la storia e l’ultimo album. Sabato si replica a Roma
Una nera celebrazione per 60.000, una messa laica, San Siro chiesa del rock e dell’elettronica. Maestri del culto i Depeche Mode: giovedì la band inglese si è impossessata dello stadio, dimostrando di sapere ancora il fatto suo, a oltre trent’anni dalla partenza in quel di Basildon, deep England. E a quattro dall’ultimo transito da queste parti. Dove, se possibile, hanno fatto ancor meglio rispetto al San Siro del 2009, allora un poco fuori forma e l’audio non fu perfetto. Niente di tutto questo.
L’EROGENO DAVE - Ebbene, sul loop ipnotico della freschissima «Welcome to My World», si presenta composto l’uomo che doveva morire almeno quattro volte, il 51enne Dave Gahan di professione cantante e di fatto un sopravvissuto, con una sobria giacchetta nera e quasi di soppiatto. Ma è una finta, un inganno: dura trenta secondi, la giacchetta vola via e Gahan occupa, con la sua sola presenza, tutto il gigantesco palco. Salta, corre, fa roteare le braccia e il microfono, sinuosamente muove la pelvi, le mani sempre sui fianchi, sua mossa classica: è un amplesso tra lui e i 60.000 dello stadio («sold out» oggi, «sold out» sabato a Roma), Dave non si fermerà più per tutte le due ore e oltre del concerto. Perché Dave è uno dei più grandi performer della Terra. E in quanto ad appeal puramente erogeno, è secondo forse solo a sua maestà Mick Jagger. I 60.000 di San Siro, già: la fascia d’età è rigida, 35-45 ovvero chi è cresciuto negli anni 80 o quelli ha ancora respirato pure nella decade successiva. Donne in prevalenza, mentre i pochi ragazzini presenti sono i figli del popolo di cui sopra. E viene subito «Walking in My Shoes», al terzo round, «prova a metterti nei miei panni», messaggio che non sfiorisce mai, canzone che subito infiamma le signore sul prato e in cima al secondo anello.
NUOVE CANZONI, NIENTE NOIA - E, oltre a Andy Fletcher, imperturbabile alle tastiere, c’è pure Martin Gore, il cervello dei Depeche, l’autore di tutte le canzoni che hanno consegnato la band di Basildon alla storia del rock. E a un certo punto prova a rubare un po’ la scena a Gahan, imbracciando la chitarra in solitaria su «Higher Love»: non è proprio il suo, perché il suo è scovare le idee e i suoni. Ma poi regala una versione da urlo di «Shake the Disease» che diviene uno dei momenti-clou del concerto. E lo stadio ammutolisce. Ma il microfono appartiene a Gahan che lo riprende su«Soothe My Soul», martellante e danzereccio pezzo del nuovo album «Delta Machine». Ecco, scorrono diversi brani dall’ultima fatica dei Depeche, dalle iniziali sopracitate fino all’ultima che chiude il set «Goodbye»: il bello è che sembrano coevi degli album monstre della band, i «Violator» o i «Black Celebration». Ovvero sufficientemente oscuri, musicalmente robusti, rock’n’roll ad alta intensità su tappeti d’elettronica. Tant’è che non vedi tra il pubblico le facce scontente di chi in altre circostanze direbbe: «Che noia, le nuove canzoni».
ACCENDINI E MANIFESTI - Il concerto scorre veloce, non si parla tra una canzone e l’altra. E una volta tanto i visual sopra e ai lati non sono fastidiosi, punteggiano intelligentemente la musica. Perché, ad essa, non si devono sostituire. Su «A Question of Time» lo stadio ondeggia pericolosamente, su «Enjoy the Silence», i nuovi accendini, gli Smartphone, illuminano a giorno la notte di San Siro, mentre è assordante l’urlo delle donne; «Personal Jesus», ognuno di noi ha il suo messia, sembra inizialmente la celebre cover di Johnny Cash tanto è lenta e lancinante, ma poi ritorna quello che è, mirabile sintesi tra rock d’alta scuola e praterie d’elettronica. Infine i bis, Martin Gore dirige liturgicamente le masse come un sacerdote su «Home», poi con «Just Can't Get Enough» si ritorna alle primissime radici e San Siro sembra una discoteca di inizio Anni 80. Fino alle battute conclusive di «Never Let Me Down Again»: «I'm taking a ride with my best friend», canzone d’eccessi e di cadute, manifesto-ammonimento perenne. Ma, stasera, non era sera di cadute.
fonte
Tutto esaurito a San Siro per la band inglese, tra le più longeve e di successo della scena pop-rock internazionale. Pezzi del nuovo disco, Delta Machine, in cui rivendicano l'anima e le radici blues, alternati alle hit della loro grande tradizione. Che hanno fatto cantare e ballare lo stadio
di GINO CASTALDO
MILANO - Arrivano come principi, maestosi signori del rock elettronico, con la voce di Dave Gahan che subito getta in avanti i suoi brandelli di passione sulle trame sintetiche di Welcome to my world, incipit del nuovo disco e quindi del tour in corso (che sabato arriverà all'Olimpico di Roma). E non c'è modo migliore di entrare in questo mondo dominato dalla costante esplorazione della relazione tra uomo e macchina, tra naturale e artificiale, analogia e tecnologia, il cuore adagiato su un tappeto elettrico, cullato da una delle cruciali dinamiche che spiegano il nostro tempo.
I Depeche Mode sono un crocevia di correnti emotive, declinate a partire da un sotterraneo blues del nuovo secolo, filtrate da un soul argutamente plastificato, e narrano il loro romanzo contemporaneo alternando pezzi del nuovo disco, Angel, Heaven, una travolgente Soothe my soul, ai gioielli del passato come Walking in my shoes, fin dentro la cupa rivelazione di Black celebration o la vigile scossa di Policy of truth, tratta da Violator, loro capolavoro e in più legato a doppio filo con l'Italia perché in parte registrato proprio qui a Milano, dove stasera stanno riempiendo lo stadio di postmoderni ancheggiamenti, rapide e solenni affermazioni di potenza.
E il tutto condito dalla grafica e dalle immagini di Anton Corbijn che è a sua volta un maestro nell'uso della semplicità immaginifica come strumento di decoro e di arricchimento visivo. Un semplice bianco e nero sullo sfondo, poche scintille, dei cani che fissano lo schermo come se guardassero i protagonisti sul palco, pochi ma necessari elementi concepiti da uno dei pochi ad aver capito che in uno stadio anche una goccia fa rumore, e a volte basta quella per creare la più potente delle evocazioni. I Depeche, va detto, sono in grande forma, sembrano godere di questa condizione adulta, di piena maturità, trentatre anni di carriera, tormentosa, ricca di colpi scena, mutazioni, morti e rinascite, perfettamente consapevoli dei loro mezzi, e costruiscono sul palco un concerto molto diretto, proteso in avanti, molto rock in un certo senso, o comunque stracolmo di energia, un'onda di chitarre, percussioni e tastiere elettroniche che monta, non lascia spazi vuoti e cresce con Question of time, Secret, così che quando arriva Enjoy the silence lo stadio può liberarsi in un trionfo di passione, di estatico godimento, come fosse l'atteso momento di piena felicità, quando è possibile condividere ogni singola nota, ogni singola frase, come fossero tasselli di un irripetibile momento di empatia collettiva, e tutto questo inneggiando al silenzio.
Poi ribadiscono questa ferrea, monumentale pratica emotiva col martellamento incalzante di Personal Jesus. E su Goodbye Corbijn ne inventa un'altra delle sue, proiettando l'immagine in bianco e nero dei tre Depeche, immobili, imperturbabili, che sulla panchina di un parco guardando dritto davanti a sé si scambiano cappelli. Finisce qui, teoricamente, prima del rituale ritorno in scena per la finale sequenza dei bis, ovviamente implacabile, inaugurata da Martin Gore che va a prendersi il centro della scena, come aveva già fatto a metà concerto, accompagnato solo dalle note di un pianoforte, per cantare l'elegia di Home, al netto di tutto, acustico e spoglio, con lo stadio che gli fa da coro. E lo fa talmente bene che a un certo punto Gore si mette a dirigere le voci, e in questo gli italiani si fanno sempre valere, e intonano perfettamente le note della canzone e continuano anche quando le luci si spengono e il gruppo sta per riprendere con la sua forma completa e Gahan rientra in scena continuando a giocare con le voci che corrono da una gradinata all'altra. E si conclude cadendo verso il finale con gli ultimi fuochi d'artificio, Halo, poi la festa dance di Just can't get enough, I feel for you, e infine il pezzo con cui il gruppo ama chiudere sempre i concerti, ovvero Never let me down, che risale al disco Music for the masses, titolo che voleva essere ironico ma diventò ineluttabile realtà di un percorso che porta dritto fino al concerto che ha fatto saltare all'unisono l'intero stadio di San Siro.
Fonte
Re: DEPECHE MODE
Kaiser ha scritto:
Siamo solo all’inizio ma l’impressione è che la scaletta sia una delle più intelligenti si siano viste e ascoltate sinora. Vecchio e nuovo, vecchissimo e sconosciuto si inseguono in un pong pong che fa bene al cuore e all’anima.
....
Un pensiero: ah, quanti ragazzini dovrebbero venire a un concerto come questo e imparare, imparare, imparare.
...
Davvero vien da pensare che se questo stesso palco lo avessero montato al vicino Ippodromo dove si esibiscono gruppi forti ma (facendo le debite proporzioni) minori, nessuno avrebbe fatto una piega. Lo stage non è grande, non è lungo (la metà di quello di Jovanotti, Bon Jovi o Springsteen) e la passerella che entra nella platea permettetecelo, fa ridere. Eppure...eppure i Depeche Mode sono qui, in questa fresca serata milanese a dimostrare che le diavolerie tecnologiche sono nulla senza la sostanza delle canzoni, di una ritmica che da sola vale dieci, cento, mille schermi.
....
spettacolo che se si presenta sussurrato, quasi timido all’inizio, diventa un torrente in piena. Uno show, quello dei DM che dimostra ancora una volta (semmai c’è ne fosse bisogno) come ci siano davvero artisti di serie A, di serie B e di serie C. No, non è disparità culturale e nemmeno snobismo critico. Chiunque sia capitato al Meazza perché ha accompagnato l’amico, il genitore (tanti), la fidanzata o il fidanzato infoiato per Gahan e soci, uscendo si porterà nella memoria l’essenza stessa dell’essere rockstar. Canzoni bellissime. Padronanza di palco. Carisma infinito. Espressività all’ennesima potenza.
Fonte: la Stampa.it
Sopravvissuta al prato, è stato meno faticoso di quanto pensassi
Che dire, sarà che io li adoro...ma è stato favoloso!
Quoto alla grande le parti di questo articolo...per una volta la penso come Dondoni
Ospite- Ospite
Re: DEPECHE MODE
"Soothe My Soul (Feed Me Remix)" dei Depeche Mode in download gratuito su Amazon.it,in occasione dei concerti in Italia
http://www.amazon.it/Soothe-My-Soul-Feed-Remix/dp/B00DOJRZES/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1374225936&sr=8-1&keywords=depeche+mode+soothe+my+soul
http://www.amazon.it/Soothe-My-Soul-Feed-Remix/dp/B00DOJRZES/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1374225936&sr=8-1&keywords=depeche+mode+soothe+my+soul
camila- mengonella
- Messaggi : 9869
Data d'iscrizione : 13.05.10
Località : in giro per l'Italia
Re: DEPECHE MODE
@Andromeda Anche dalla mia posizione non era male, si sentiva molto bene (e lo sentirete anche voi perché avevo con me il mio gioiello ), lo so che dal 'prato' è un'altra cosa (lo metto tra virgolette perché una volta non lo coprivano, si andava presto ai concerti ed era una goduria stare a piedi nudi a giocare a palla o a frisbee mentre si aspettava il concerto e poi si rimaneva stravaccati sull'erba durante il concerto e ci si alzava solo ai bis ) ma ho anche la fissazione di registrare l'audio dei concerti, e dal prato, schiacciata come una sardina, non verrebbe bene
Re: DEPECHE MODE
Delilah ha scritto:@Andromeda Anche dalla mia posizione non era male, si sentiva molto bene (e lo sentirete anche voi perché avevo con me il mio gioiello )
Ospite- Ospite
Re: DEPECHE MODE
andromeda ha scritto:Delilah ha scritto:@Andromeda Anche dalla mia posizione non era male, si sentiva molto bene (e lo sentirete anche voi perché avevo con me il mio gioiello )
Grande Deli!!
Che dire se non................... capito?
Stavolta Dave l'ho trovato particolarmente in forma vocalmente e Martin...Martin basta che apra bocca e mi sciolgo
Menzione speciale a video/foto/idee/regia e chi più ne ha più ne metta del mitico Anton Corbjin una goduria nella goduria
Io contribuisco con le foto della serata, fatte schivando quelle due pazze indemoniate che avevo davanti
continua...
Ultima modifica di DarkLullaby il Sab 20 Lug 2013, 02:07 - modificato 3 volte.
Re: DEPECHE MODE
parte 3a
con qualche inquadratura possibile solo grazie al megaschermo
continua...
con qualche inquadratura possibile solo grazie al megaschermo
continua...
Ultima modifica di DarkLullaby il Ven 19 Lug 2013, 15:33 - modificato 1 volta.
Re: DEPECHE MODE
DarkLullaby ha scritto:..le ultime tre
Bellissime tutte....ma queste due
Ospite- Ospite
Pagina 4 di 5 • 1, 2, 3, 4, 5
Permessi in questa sezione del forum:
Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.