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Interviste, articoli e recensioni, chi canta e chi suona

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Interviste, articoli e recensioni, chi canta e chi suona - Pagina 6 Empty Re: Interviste, articoli e recensioni, chi canta e chi suona

Messaggio Da Paz i Enza Gio 24 Feb 2011, 17:24

http://sickgrooveinc.blogspot.com/2011/02/recensione-viva-i-romantici-moda.html

questa recensione è esattemente quello che penso sui Modà...
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Messaggio Da Ospite Gio 24 Feb 2011, 17:38

Paz i Enza ha scritto:http://sickgrooveinc.blogspot.com/2011/02/recensione-viva-i-romantici-moda.html

questa recensione è esattemente quello che penso sui Modà...

La penso anch'io così.... ok

Peccato che la verità si possa leggere solo sui piccoli blog che fanno poche visite e non sui grandi giornali o siti importanti dove la parola d'ordine è ''brainwashing'', lavaggio del cervello del pubblico e super pompaggio. :uhm:

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Messaggio Da Ospite Ven 25 Feb 2011, 17:37

A me fa scompisciare il video risata risata risata

Paul McCartney scatenato al concerto di Lady GaGa

C'era anche Paul McCartney tra i ventimila fan scatenati che hanno riempito il Madison Square Garden di New York per il concerto di Lady Gaga. L'ex Beatle era con la fidanzata Nancy Shevell e sui pezzi più ritmati non è riuscito a trattenersi e ha ballato scatenato. Paul compirà 69 anni a giugno, ma chi si aspettava fosse un fan della trasgressiva Germanotta? McCartney non è il solo fan famoso di Lady Gaga. Ma il baronetto di Liverpool è l'unico che al ritmo della nuova regina del pop proprio non riesce a stare fermo. E c'è chi ha approffittato della situazione per girare un divertente video.



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Messaggio Da ghost Ven 25 Feb 2011, 20:32

Deianira ha scritto:
Paz i Enza ha scritto:http://sickgrooveinc.blogspot.com/2011/02/recensione-viva-i-romantici-moda.html

questa recensione è esattemente quello che penso sui Modà...

La penso anch'io così.... ok


Mi aggiungo. Per dimostrare la mia imparzialità ribadisco che non mi piacevano anche prima che si sapesse del duetto con Emma.
Li trovo una bruttissima copia dei negroamaro, con testi banalissimi e con un cantante che dal vivo non rende come nel cd. occhioni
Se aggiungiamo che a me quelli pompati ingiustificatamente mi stanno sulle cosiddette, allora potete capire quanto non mi piacciano. sorriso
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Messaggio Da ziggy Mar 01 Mar 2011, 22:21

Non so se sono OT o no, non sapevo dove postarlo, caso mai lo spostate
ma volevo rendervi partecipi di questo messaggio di Giuliano dei Negramaro apparso oggi sul suo sito dopo l'operazione alle corde vocali cuoricino

http://cdn2-negramaro.eventidigitali.com/eventidigitalipop/aspettolei/index.html

spero che ,prima o poi, anche qualcuno di nostra conoscenza avrà modo di rivolgersi ai fan in maniera così diretta e a cuore aperto senza doversi affidare a dame, giullari, cani..... nani e ballerine snob
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Messaggio Da duful Gio 03 Mar 2011, 17:08

AAA cercasi la forza e l'onore delle donne
La tripla provocazione di Carmen Consoli
Nel video del nuovo singolo la 'cantantessa' indossa le vesti succinte di quattro donne. Un colpo ironico per rappresentare la realtà mediatica che ci circonda ma che "non dovrebbe rappresentarci". Scritto dopo lo scandalo 'papi' ma ispirato a un fatto di cronaca diverso: "Il senso poi si è esteso automaticamente"

di KATIA RICCARDI
Interviste, articoli e recensioni, chi canta e chi suona - Pagina 6 201403415-0eb28f7f-7d33-4dbb-9dc6-d2a08676aee8 Carmen Consoli

ROMA - La cantantessa zitta non ci sa stare. Non ci vuole stare, non ci può stare. Silenziosa, in mostra, in attesa, in vendita. Carmen Consoli quando sta scomoda diventa irrequieta. Lo fa da sempre e da sempre cambia pelle, si muove tra le note, cambia chitarre e arrangiamenti, graffia, scrive testi per se stessa poi produce dischi di pastori siciliani in estinzione. Come quello di Alfio Antico, uno dei tamburellisti che ha rivoluzionato la tecnica della 'tammorra' e che lei presenterà il 31 marzo a Roma. Carmen Consoli è femmina ribelle, fastidiosa e irruenta. Ma sorride spesso, lo fa con decisione.

"Mi scoccio", dice quando la raggiungiamo al telefono. "Dei telefoni dico, mi sono spaventata quando ho letto tutto quello che sta succedendo, non mi va più di parlare al cellulare. E' pericoloso". Brivido, che anche l'anarchica Carmen sia spaventata dalle intercettazioni? "Ma quali intercettazioni!", dice con un accento marcatamente catanese che segna la zeta come zorro e doppia la 'o' trasformandola in una bocca spalancata. "Sono le onde che arrivano al cervello a farmi paura. Fanno danni, ormai si sa. Ma la gente continua a usarli, e poi magari mangia vegano. Io ora il mio telefono lo uso il meno possibile. Come si faceva un tempo". Pesa le sue parole in un attimo di silenzio, ascolta le onde malefiche e si scalda. "Ma sì. Salvo i messaggi, e pure Skype".
Nel video del nuovo singolo AAA Cercasi, che vediamo in anteprima, Consoli si trasforma in tre donne. Le tre A. Più una quarta che è la spettatrice. Casalinga, affascinante bulimica culturale se di cultura televisiva si potesse ancora parlare. Le tre A sono ammiccanti, provocanti, sorridenti. Sono formose e belle. Vendute nel momento in cui si sono messe in vendita, a saldi per diventare giornaliste, modelle, politiche. Prezzi scontati, tanto vale saltare passi e studi. Nel video Carmen Consoli ride e strizza gli occhi alle tre scimmiette, si infila dita in bocca e, nella sottoveste della spettatrice casalinga, mangia tutto quello che trova davanti senza sentirne il sapore. E' lontana mille anni luce da ognuna di queste donne, per questo le ha interpretate. La vera Carmen Consoli respira nelle parole del testo. "Cercasi badante, un ottantenne miliardario affascinante, offre a cagne di strada un'opportunità di vita più agiata, donna impenitente e ladra (AAA cercasi), donna santa e incesurata, deceduta il giorno prima basta che sia bona, come baceresti se dovessi fare cinema scena prima ciak motore azione poi si gira o forse ti interessa la politica".

"Questo pezzo l'ho scritto dopo lo scandalo di 'papi', ma in realtà non era dedicato al nostro presidente del Consiglio, anche perché lui non deve fare parte della mia vita", racconta. E il premier resta fuori né più né meno di un telefonino. "Mi ero ispirata invece alla storia di imprenditore che ricattava i politici e organizzava 'cena e coperta', escort, era lo scandalo di Arzignano Veneto. Poi ovviamente ho esteso il senso, anzi si è esteso da solo, automaticamente", racconta. E i puntini degli scandali si uniscono da soli come mercurio di un termometro rotto.

"Quello che mi preoccupa e che mi ispira è l'impoverimento che stiamo affrontando nel nostro Paese. Il fatto che adesso la priorità delle nostre figlie sia fare le puttane, perché in italia non conviene più laurearsi, la cultura è bistrattata. Dicono tutti così no? Peccato che da noi i più grandi eroi dell'antimafia, Peppino Impastato per esempio, ci hanno insegnato che la cultura è la sola arma in grado di salvarci dalla mafia". Carmen Consoli non ha voglia di scherzare. Lo fa con garbo ma smette di colpo, all'improvviso diventa aria gelida. "E la cosa che mi fa più arrabbiare è pensare che oggi è meglio avere la quarta perché l'intelligenza non è più una cosa di cui vantarsi. I testi delle canzoni nascono veloci, arrivano come slogan. Se sei carina fai strada, se sei un cesso...". Poi cerca spiegazioni. "Il problema sono i genitori? Il vuoto assoluto di valori?".

Parla veloce e si risponde. E' un ritornello che hanno in mente tanti ormai. Perché le vere vittime del bombardamento mediatico, che nel video è rappresentato dalla casalinga che si ingozza, "siamo tutti noi col telecomando in mano, nessuno escluso". E mettere un telefonino nel cassetto non basta più. "Chi non ha peccato scagli la prima pietra dice la chiesa in difesa di Berlusconi, già, e chi non ha peccato? Ecco, questa è la nostra Italia, a 13 anni faranno l'età maggiorenne e i settantenni saranno legittimati. Amen. Benvenuti nel futuro", continua Carmen. "La bulimia mediatica, la casalinga che occlude lo schermo con quello che mangia senza fare distinzione tra dolce e salato, è esattamente ciò che ci succede. Il problema è che non scegliamo più, mangiamo tutte le schifezze. Così nel video mi riempio di cose fritte e cremose. Quell'altro tipo di nutrimento ora non ce l'abbiamo più, non scegliamo più. Altro che Wwf, la cultura è rara, e la coscienza popolare si raggiunge solo con la cultura, altrimenti siamo tutti ignoranti", fa una pausa, prende fiato. E diventa un animale in attesa di attaccare ancora.

"E allora questo è il momento in cui bisogna alzare la voce, se non ora quando? Mi piace molto lo slogan usato per la manifestazione delle donne", dice Carmen che da qualche mese è stata nominata ambasciatrice dell'associazione nazionale delle volontarie di Telefono Rosa. E' stata anche premiata per il testo e l'interpretazione di Mio zio (nell'album Elettra), storia di un abuso su una bambina e già vincitore del Premio Amnesty Italia 2010. "E' stata un'esperienza incredibile - racconta - sono andata in questa casa, c'erano tutte le signore dell'associazione e sono rimasta colpita dal dialogo con loro, dalle voci, dai volti, dalla forza. Mi hanno fatto vedere le terribili statistiche di violenza sulle donne e io ho raccontato la mia visione del potere dell'istruzione, che considero l'unico strumento per educare e costruire una scala di valori che abbia al primo posto una morale sana".

E' tutto legato. "Sì, se la donna non tirasse fuori la sua 'scimunitaggine' l'uomo non tirerebbe fuori la sua animalità. Ma che vuol dire, legittimiamo tutto? Invece no. Invece ci vogliono movimenti di uomini, perché anche loro devono uscire fuori a dire che non si sentono rappresentati dal bunga bunga. Ci sono stati sempre uomini di grande valore e di grande esempio. I padri, i fratelli. Tirassero fuori la voce anche loro che alla fine sono i primi a non fare una bella figura. Il video è stato girato dal regista romano Paolo Scarfò. Uomo", prosegue. E la musica, è ancora un urlo potente? "Può esserlo. E' il mercato discografico a essere in crisi, non la musica. Io spero che la crisi del disco possa fare emergere tanta più musica dal sottosuolo. Ci credo, ci spero, e vado avanti", conclude la cantantessa irrequieta. Poi lancia il telefono lontano, e manda via col vento le onde pericolose rimaste a galleggiare nel vuoto.

http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2011/03/03/news/carmen-consoli_intervista-video-13107096/?ref=HRESS-1

Per il video qua:

http://tv.repubblica.it/copertina/aaa-cercasi-carmen-e-le-donne-in-carriera/63257?video
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Messaggio Da Ospite Ven 04 Mar 2011, 02:18

Sono l'autore dell'articolo sui MOdà e vi ringrazio, sinceramente non credevo che qualcuno lo scovasse per citarlo :D

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Messaggio Da Delilah Ven 04 Mar 2011, 02:37

narses ha scritto:Sono l'autore dell'articolo sui MOdà e vi ringrazio, sinceramente non credevo che qualcuno lo scovasse per citarlo :D


Quello che è piaciuto molto da queste parti? Interviste, articoli e recensioni, chi canta e chi suona - Pagina 6 875493

Benvenuto Interviste, articoli e recensioni, chi canta e chi suona - Pagina 6 250657 se ti va di rimanere, puoi presentarti qui:

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Messaggio Da Arzach Ven 04 Mar 2011, 11:49

narses ha scritto:Sono l'autore dell'articolo sui MOdà e vi ringrazio, sinceramente non credevo che qualcuno lo scovasse per citarlo :D
Come avrai notato molti di noi condividono il tuo pensiero! risata

grazie
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Messaggio Da vallettadelre Dom 06 Mar 2011, 16:13

sono molto contenta per lui! ok
a me a Sanremo è piaciuto tanto tanto....! sisi

MUSICA: RAPHAEL GUALAZZI, SOLD OUT A ROMA PER L'ANTEPRIMA TOUR

http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201103041845-ipp-rt10225-musica_raphael_gualazzi_sold_out_a_roma_per_l_anteprima_tour

Spoiler:
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Messaggio Da Zoe Lun 07 Mar 2011, 19:44

http://www.repubblica.it/persone/2011/03/07/news/michael_stipe-13267921/?ref=HREC2-15

Stipe, fra crisi e rinascite "Felice di essere ancora vivo"
Intervista al leader dei R.E.M., mentre esce il nuovo album "Collapse into now". Trent'anni di attività, la musica e le altre forme di espressione. E momenti neri. "Penso a Kurt Cobain, non tutti ce la fanno". I timori per il futuro: "Penso a quel che stiamo facendo all'ambiente, e al matricidio contro la Terra"

di GIUSEPPE VIDETTI

MILANO - Con quella montatura e lo sguardo vitreo potrebbe essere l'attore ideale per un remake di Un giorno di ordinaria follia. Ma appena ha finito di scrutare il suo interlocutore e appoggia sul tavolo gli occhiali, Michael Stipe diventa la persona più dolce e affabile del mondo. Il leader dei R.E.M., che pubblicano domani il nuovo album Collapse into now (ad alcuni brani hanno collaborato Eddie Vedder, Patti Smith, Lenny Kaye, Peaches e Joel Gibb degli Hidden Cameras), non fa nulla per nascondere i suoi 51 anni appena compiuti. Barba incolta e bianca, sopracciglia cespugliose, viso segnato da qualche ruga di troppo per uno della sua età. "Bello, mi piace", dice sfogliando il libretto del nuovo cd che ha avuto tra le mani per la prima volta ieri mattina a Milano. "Le foto che Anton Corbijn ha scattato a Nashville sono straordinarie".

Questa volta, per volere di Stipe, i R.E.M. hanno fatto le cose in grande: ognuno dei dodici brani sarà accompagnato da un corto girato da registi e attori famosi. Quello di Überlin, ad esempio, è diretto da Sam Taylor-Wood e interpretato da Aaron Johnson (regista e attore di Nowhere Boy, il film su John Lennon). Ha in mano un quotidiano inglese che (non a torto) strilla in copertina: "Il miglior disco dei R.E.M. degli ultimi vent'anni". Sorride sarcastico. "Per la verità ogni volta che entriamo in studio lo facciamo con l'intenzione di incidere il nostro capolavoro. Ma questa volta, sono sincero, non ci aspettavamo che sarebbe venuto così bene".

Ci sono molte altre idee questa volta intorno al solito album, progetti fotografici e persino cinematografici.
"Tutto è arrivato strada facendo, non siamo partiti con l'idea di mettere così tanta carne al fuoco. Sono uno che segue il suo istinto giorno per giorno. E cerco di ignorare l'altro "io"; non vorrei sembrare schizofrenico, ma nel momento in cui creo cerco di non ascoltare la parte più vigile di Michael, quella che pretende di sapere esattamente cosa farà domani, quella più ancorata alla realtà, per privilegiare la voce del bambino, quella che per la maggior parte del tempo resta inascoltata e disattesa".

Il disco è stato registrato tra Berlino, New Orleans, Portland e Nashville. Quanto è importante la location per la riuscita di un album?
"Determinante, soprattutto New Orleans, che è il posto dove ci siamo ritrovati tutti insieme per mettere a punto le idee - Peter Buck e Mike Mills hanno famiglia, sono meno liberi di me. Avevamo intenzione di lavorare anche a Roma ma non abbiamo trovato uno studio libero per quel periodo. Avrei voluto dare un carattere più mediterraneo a questo disco, dopo che avevo trascorso un lungo periodo di vacanza col mio compagno tra Spagna, Francia e Italia. Non voglio rischiare di dire luoghi comuni ma mi sento molto vicino al modo in cui gli italiani si relazionano all'arte e rispondono agli stimoli artistici. E' un tipo fratellanza e di intimità che ho sempre sentito, fin da ragazzo".

Lei è sempre stato interessato ad altre forme artistiche. Ha prodotto film, scatta incessantemente fotografie e ora ha voluto corredare ogni canzone di questo cd con un minifilm. E' una reazione alla crisi del disco o un tentativo di schivare la routine?
"La musica è un medium e una manifestazione artistica formidabile, ma riconosco lo stesso potere anche ad altre forme di espressione. Quel che volevo, questa volta, era elevare le immagini a livello della musica, andando al di là dell'idea stereotipata del videoclip, quindi della promozione commerciale della canzone, creando un approccio diverso al lavoro della band. Tre video sono già online 1, gli altri arriveranno nel giro di tre settimane".

Qual è oggi, per lei, l'idea dell'artista perfetto, quella che si è fatta dopo trent'anni di carriera?
"Quando facevo il liceo scattavo fotografie. Poi arrivò il punk, Patti Smith e gli artisti che gravitavano intorno al CBGB's di New York. A quindici anni fui rapito dalla musica. In quel momento era il mezzo ideale che mi permetteva di rappresentare il mio caos interiore, di esplorare la mia sessualità, una cosa che all'epoca, vivendo nella piccolissima Athens, in Georgia, era assai complicata. Il punk mi diede forza, mi fece sentire protetto anche se in maniera astratta, perché tutto avveniva nella mia testa, non ero ancora mai salito su un palcoscenico. Ma già all'epoca trovai nella musica una community - per usare un termine oggi tanto in voga - in cui rifugiarmi e alla quale appartenere. Quando venne il momento dei R.E.M., Peter mi disse: "Hai frequentato il liceo artistico, dunque tutto quel che appartiene a quella sfera è compito tuo, noi pensiamo al rock", e fin da allora mi sono sempre occupato del corredo visivo della band oltre alle canzoni. Ma, chiaramente, per molti anni la musica ha assorbito la maggior parte del mio tempo, solo ora posso permettermi il lusso - ed è chiaramente un privilegio - di dedicare altrettanta energia a progetti paralleli come questi dodici film. Questa facilità di saltare da un medium all'altro è una caratteristica del nuovo millennio, un'esigenza del pubblico oltre che degli artisti. Non ha niente a che fare con l'ambizione che un cantante può avere di diventare attore (o viceversa) - cosa che nella maggior parte dei casi trovo imbarazzante, anche se Miguel Bosé è allo stesso tempo un bravo attore e una popstar. Per molti artisti è solo una questione di business, per me ha solo una motivazione artistica. Non scatto fotografie o vado in giro con la videocamera perché voglio farlo, ma perché debbo farlo, è un'esigenza interiore, fa parte del mio lavoro".

Si è mai sentito preda della routine durante la sua lunga carriera?
"Mai, tranne che nei tour. Un concerto dopo l'altro, gli spostamenti, le notti insonni sono sforzi che a lungo andare si pagano. All'inizio era eccitante, ora a volte ne esco stremato. Sarei finito schiavo della routine se non avessi ascoltato quel che la mia creatività mi esortava a fare, quella sorta di urgenza che mi ha spinto a scrivere, produrre, fare foto, etc".

Da quando la tensione si è allentata intorno al gruppo, lei che è l'unico single dei tre, indugia in lunghi viaggi che alimentano più la sua curiosità di fotografo che quella di musicista.
"Ultimamente sono rimasto stregato da Istanbul, e non vedo l'ora di tornarci quest'estate. L'ultima volta sono finito in un bagno turco e sono sprofondato indietro di un secolo. Ci ho messo ore a comprendere la complessa dinamica del luogo, un rito dal fortissimo e occulto potere sessuale che lascia disorientati, un accordo tacito e selvaggio che s'instaura con una ferrea gerarchia tra cliente, inservienti e massaggiatori".

Essere in una band può essere limitativo per un artista carismatico come lei?
"Guardi, non ho mai avuto la tentazione di fare un album come solista, e le assicuro che dividere le responsabilità è anche un bel sollievo quando fai un lavoro come il nostro. Certo, il rapporto tra noi è cambiato, i primi dieci anni vivevamo insieme come una famiglia. Ma a questo punto la distanza è diventata uno stimolo in più per la creatività. Tutto è ancora possibile perché l'amicizia non è mai venuta meno, altrimenti sarebbe un disastro. Mike e Peter, ad esempio, odiano studiare le copertine dei dischi, non amano fare interviste, non hanno lo stesso entusiasmo che ho io di saltare da un albergo all'altro, questo è uno dei motivi per cui oggi son qui da solo a parlare con lei".

A questo punto potrebbe solleticarla l'idea di un film come regista.
"No, per niente. Mai dire mai, ma conosco la routine dei registi, la sveglia all'alba, studiare la luce, l'angolazione, ore interminabili al montaggio, tutte cose che mi annoierebbero a morte. Ho trascorso una settimana sul set con Tom Hanks e ho trovato l'intero processo insopportabile. Quando fai un disco, lavori in proprio o con un gruppo limitato di persone, quando fai un film sei in una commedia nella commedia, perché le risorse economiche in ballo sono così alte che tutto deve essere sempre, costantemente, odiosamente dal mio punto di vista, sotto controllo".

Ci sono ospiti eccellenti in questo disco. Eddie Vedder e Patti Smith, in testa. Che rapporto ha con loro?
"Sono entrambi amici. Patti e io abitiamo a New York, lei è la mia musa, l'artista che con Horses mi ha spinto dentro il rock, quindi capita d'incontrarsi più spesso. Eddie è una persona speciale, una delle voci migliori del rock contemporaneo, ma vive a Seattle e ci sentiamo soprattutto al telefono o via mail".

A proposito di Seattle, negli anni d'oro del grunge lei ebbe un rapporto speciale con Kurt Cobain e Courtney Love. Fu il padrino di Frances Bean, la loro figlioletta, e aveva in animo di collaborare con il leader dei Nirvana...
"Non se ne fece nulla perché Kurt si uccise prima che avessi il tempo di proporre nei dettagli quel che avrei voluto fare con lui. Ma, a esser sincero, l'idea mi era venuta per cercare di tirarlo via dai suoi demoni, impegnarlo in qualcosa che avrebbe potuto salvarlo".

Quali sono stati i momenti più difficili e quelli più felici di Michael Stipe nei R.E.M.?
"Nel 1985 ebbi un grande momento di crisi. Non ero sicuro di nulla, di voler far parte di una band, di sopportare le pressioni della celebrità. Ero sfinito, demotivato, triste, depresso. Ora, ripensandoci, fu un momento di riflessione necessario a darmi le motivazioni necessarie ad andare avanti. Fortunatamente non ho tendenze suicide, posso toccare il fondo e risalire senza lasciarci le penne. Artisti più fragili non sarebbero riemersi da un periodo nero come quello - e mi torna di nuovo in mente Kurt. I periodi felici non si contano: ogni mattina quando apro gli occhi sono felice di essere ancora vivo; oggi sono un ottimista, una delle persone più positive che conosca, riesco facilmente a metabolizzare rabbia e depressione".

Lei è anche un brillante attivista, come ha dimostrato nelle infaticabili maratone musicali contro l'amministrazione Bush. Come sta vivendo adesso nell'America di Obama?
"Per anni ho gridato ai quattro venti i misfatti di Bush e chiaramente l'elezione di Obama è stata un sollievo per quelli che come me auspicavano un cambiamento radicale. Non posso dire, oggi, di essere d'accordo con ogni decisione che Obama prende, ma dobbiamo anche apprezzare il fatto di avere alla Casa Bianca una persona della sua statura morale. Il peso dei compromessi che quotidianamente deve affrontare è enorme, e tenere unito un paese avendo ereditato due guerre e una spaventosa crisi economica globale non era un compito facile. Senza contare che negli otto anni precedenti Bush aveva sistematicamente smantellato il sistema democratico e socialdemocratico di cui gli Usa si sono fatti portavoce nel mondo. Non si fanno miracoli in sei mesi".

Qual è la sua più grande paura per il futuro?
"Non quella d'invecchiare, non quella di morire, non quella di non avere più successo - quel che ho avuto basta e avanza. Mi spaventano i danni che stiamo perpetrando contro l'ambiente. Quel che stiamo facendo alla Terra altro non è che un matricidio".
(07 marzo 2011)
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Messaggio Da Delilah Ven 11 Mar 2011, 19:05

Trema Inghilterra, trema.

PJ Harvey live @ Troxy, Londra


Amore e odio per la "sua" isola al concerto londinese della cantautrice

LONDRA - La immagino nel backstage del "Troxy" sgozzare impassibile un corvo gigante, staccargli le penne e infilarsele nell’elmetto. Quando sale sul palco, le piume le danzano sul capo con ogni passo. Poi si ferma sul lato destro e lì rimane immobile, come il suo sorriso impenetrabile. Per PJ Harvey – 41 anni, 18 di carriera, 8 album solisti, più altri 2 con l’alter ego musicale John Parish – non è che l’inizio di una nuova era. Let England Shake, non ha solo un titolo tuonante ma anche il suono glorioso di una maturità che si conquista dopo un percorso artistico tanto distinto quanto cazzuto. Tra gli altri, prima è dovuta passare per la crudezza noise e poetica del debutto Dry, l’alternative rock blues di To Bring You My Love, la leggerezza pop di Stories from the City, Stories from the Sea ed infine per White Chalk, quando mettendosi alla prova con un nuovo strumento (il piano) esplorava l’intensità dei suoi pensieri più cupi. Qui al Troxy suonerà ogni canzone di Let England Shake, il suo war album ma anche la dichiarazione d’amore e odio per la meravigliosa Inghilterra, dal grigio e umido lerciume secolare, parafrasando The Last Living Rose. Ne sa qualcosa PJ, che da anni vive reclusa in una cittadina del Dorset di 12.000 abitanti (per la maggior parte pecore).

Lo show ha ritmi incessanti: In the Dark Places segue il groove della marcia dei soldati che attraversano “le montagne maledette” mentre In Glorious Land la tromba di guerra campionata in sottofondo, si scontra con il suono della band creando contorni surreali. Più passano gli anni e più lo stile della cantautrice inglese è meno paragonabile ad altri se non stessa: accordi minori, note altissime, melodie dissonanti ed inquiete senza necessariamente sprofondare in suoni angoscianti. Anzi, è impossibile ascoltare The Words that Maketh Murder senza dimenarsi in un ballo gioioso, mentre tutt’intorno cadono lembi di carne di soldato (“I've seen soldiers fall like lumps of meat”). John Parish l’accompagna con voce e chitarra dal lato opposto del palco: indossa una giacca tweed e mostra un fare da gentleman seduto di fronte a una scrivania in legno (l’ha portata da casa?!). PJ sfoggia ancora un sorriso da Mona Lisa, non ha proferito parola dall’inizio dello spettacolo, è immersa nel suo mondo a mille miglia cerebrali di distanza anche dalla propria band (gli altri sono il Black Seed Mick Harvey e Jean Marc Butty).

Noi stiamo lì ad ammirarla come la mucca guarda il treno, ipnotizzati dalle nuove canzoni e da una voce ancora più nitida che in studio. Stringe a sé la sua amata autoharp, la usa da anni ma in Let England Shake diventa onnipresente. Buffo come in passato fosse lo strumento preferito dai folkettari impediti con la chitarra: ha l’estetica complicata ma è piuttosto semplice da suonare. PJ va controcorrente: più aumenta le abilità di musicista e stratifica melodie complesse, più utilizza arrangiamenti essenziali.
Interviste, articoli e recensioni, chi canta e chi suona - Pagina 6 305

PJ Harvey e le sue piume di corvo. Foto © Chiara Meattelli

Su On the Battleship Hill enfatizza una voce bambinesca-creepy e costruisce insieme alla band un crescendo mozzafiato. Rendendo attuali versi ispirati dalla battaglia di Gallipoli del 1915, sconfigge ogni retorica anche nella critica della guerra in Iraq. Evita persino d’inciampare in semplicistiche analisi politiche. Eppure è stata indimenticabile lo scorso aprile, quando invitata al notiziario della "BBC", cantava sulle orecchie a sventola di Gordon Brown: “And tell me, indifference has won won won”. Tra le poche canzoni dal passato proposte stasera c’è una strepitosa Down By the Water oltre a The Devil, Angeline e C’mon Billy. Sembra voglia ribadire l’inizio di una nuova epoca quando interpreta Big Exit, la sua hit più famosa, preferendo ancora l’autoharp all’originaria chitarra elettrica. Poi alle 10,16pm (dopo 76 minuti di concerto) accade il miracolo: la timidissima Polly Jean parla. “Thank you very much, vorrei presentarvi questa fantastica band”. Dunque non sono fantasmi di guerra, li vede anche lei! Prima del bis lascia che John Parish prenda la guida nell’epilogo The Colour of the Earth e dall’angolino di fiducia, si avvicina al resto del gruppo. Torna con una distortissima Meet Ze Monsta ma l’uscita finale è in punta di piedi con Silence. Il pubblico si dirada e quell’odore nauseabondo di hot dog venduti all’ingresso, diventa il tanfo dei lembi di soldato di PJ. Nella testa dei presenti, l’Inghilterra continua a tremare per qualche ora.
CHIARA MEATTELLI

http://www.rollingstonemagazine.it/eventi/reportage/trema-inghilterra-trema-pj-harvey-live-troxy-londra/35109
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Messaggio Da Ospite Ven 11 Mar 2011, 21:38

Delilah amò che bell'articolo su Polly Jean che hai postato love love
devo avere quel CD snob prima di subito sorriso
vado a vedere su IBS se ce l'hanno e quanto vogliono spia

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Messaggio Da duful Ven 11 Mar 2011, 23:38

Michael Stipe: parlo ai ragazzi di 10 anni


«Una delle idee fondamentali di questo disco è l'importanza dell'esplorare il presente e l'attimo esatto»


MILANO - Quindici album in carriera, 30 anni di lavoro, la boa dei 50 girata l'anno scorso, ma Michael Stipe preferisce guardare soltanto al presente nel momento in cui esce «Collapse into Now», nuovo album dei R.E.M. nei negozi da martedì. «Sono soddisfatto, sembra il lavoro di tre uomini che si conoscono da trent'anni», dice con gli occhi di ghiaccio piantati in quelli dell'interlocutore.
Il titolo lo spiega così: «Una delle idee fondamentali di questo disco è l'importanza dell'esplorare il presente e l'attimo esatto. Non sono un buddista, ma c'è uno sforzo filosofico nell'essere nel momento». Il suo oggi artistico lo riassume come quello di «un 51enne del XX secolo che parla a un ragazzo di dieci anni», all'oggi del mondo guarda invece così: «Sono orgoglioso che il mio Paese abbia eletto Obama. È stato come riconoscere la distruzione fatta dall'amministrazione Bush e in particolare da Dick Cheney, il vicepresidente. Oggi dobbiamo avere pazienza con Obama che vuole far riemergere quello stato sociale che è stato distrutto da Bush e prima da Reagan». «Collapse into Now» è accompagnato da un video per ogni canzone. La clip del singolo «Überlin» è diretta da Sam Taylor-Wood e ha come protagonista Aaron Johnson, «That Someone is You» ha la regia di James Franco, «Me, Marlon Brando, Marlon Brando and I» è firmato da «un'icona americana» come Albert Maysles. «Il concetto di album come lavoro corposo, diviso in canzoni diverse, ciascuna importante come le altre, non è passato bene dal XX al XXI secolo - analizza il cantante -. L'idea di una serie di brani che metti su disco che si compra nei negozi è morta. Queste rappresentazioni visive sono il nostro modo di concepire un album nel 2011». Mai così tante collaborazioni in un album dei R.E.M.
Interviste, articoli e recensioni, chi canta e chi suona - Pagina 6 Search&if_nt_CookieAccept=Y&XE«Alligator_Aviator_ Antipilot_ Antimatter» ha Peaches alla voce e in «Blue» c'è Patti Smith: «Mi piace la voce di Mills per come si lega alla mia, ma a volte concordiamo che ci sia posto per una voce diversa dalle nostre. Loro sono entrate non solo perché sono donne e hanno un diverso tono di voce, ma perché portano un'atmosfera diversa». Joel Gibb degli Hidden Cameras e Eddie Vedder dei Pearl Jam danno una mano in «It Happened Today». «Joel vive a Berlino dove stavamo registrando e gli ho chiesto di venire in studio. Ha portato Eddie e le loro voci hanno fatto qualcosa che io non sarei mai stato in grado di fare». Il tour? «Questa volta non ci sarà - annuncia Stipe -. Vorrei che solo il disco sia "il momento"».


Andrea Laffranchi
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Messaggio Da duful Dom 13 Mar 2011, 14:37

http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2011/03/13/news/brassens_il_burbero_maestro_di_tutti_i_cantautori-13540843/?ref=HREC2-6

Brassens, il burbero maestro
di tutti i cantautori
Libertario, colto e popolare, usava la chitarra come una zappa anche quando suonava all´Olympia. Ora Parigi dedica una mostra al poeta che cambiò la vita a De André e agli altri


di GIANNI MURA
Interviste, articoli e recensioni, chi canta e chi suona - Pagina 6 100454838-6f839172-68b7-4652-b1c5-d4ce9b7d261b

ESISTE una sola foto che riunisce la trinità degli chansonnier: Georges Brassens, Jacques Brel e Léo Ferré. È stata scattata negli studi radiofonici di Rtl nel 1969 per un'intervista collettiva organizzata dalla rivista Rock et folk. Tutti e tre fumano, chi la pipa chi sigarette, e parlano del loro lavoro. "Io non sono un poeta, o forse solo un pochino. Mescolo parole e musica e poi canto". Questo è Brassens. "Chi si dice poeta non lo è", taglia corto Ferré. "Io mi giudico un artigiano", dice Brel. Normale che si parlasse di poesia, e anche, visto il periodo, di impegno politico. Ora che sono scomparsi, ma le canzoni restano, Parigi dedica una grande mostra a Brassens dopo che la sua città sul mare, Sète, gli ha dedicato un Espace (un bel modo per non usare la parola museo, a Georges non sarebbe piaciuta).

Ora si può dire che quest'uomo massiccio e timido ha come pochi sedotto la Francia degli intellettuali e quella popolare, col suo anticonformismo non di maniera, con le sue storie di puttane, ladruncoli, becchini, papponi, disoccupati, tipi che fan fatica a mettere insieme pranzo e cena. E di contro i benpensanti, la trinità giudici-poliziotti-preti, la morale pronta, l'ordine costituito.
Queste ultime righe potrebbero valere anche per Fabrizio De André, che indicava Brassens come un maestro, ma non volle mai incontrarlo per timore di andare a sbattere contro un carattere burbero. Nanni Svampa, ottimo traduttore-inteprete in dialetto milanese di molte canzoni di Brassens, invece lo incontrò e lo trovò molto cortese. Anche perché Elvira, la madre di Georges, era di origine italiana, Marsico Nuovo, in Lucania. Vedova di guerra, con una figlia, Simone, si era risposata con Jean-Louis Brassens, muratore, e il 22 ottobre del '21 era nato Georges. "Sono cresciuto in mezzo alla musica. Cantava mia madre, canzoni napoletane, e di quelle francesi trascriveva i testi e li imparava a memoria. Cantava mio padre, sul lavoro. A cinque anni sapevo già duecentocinquanta canzoni".

I suoi idoli erano Tino Rossi e il più jazzato Charles Trenet. D'altra parte anche Yves Montand sognava di diventare come Fred Astaire. Poi è la vita che sceglie e nella vita di Brassens ci sono almeno due svolte fondamentali. A scuola, il voto più alto l'aveva in educazione fisica, ma al liceo il professor Bonnafé fa innamorare Brassens della poesia: Villon e poi Hugo, Rimbaud, Verlaine. Brassens comincia a scrivere poesie. Ma, in seguito a una condanna a quindici giorni di carcere con la condizionale perché coinvolto di striscio in una serie di furtarelli, storia narrata in una canzone (Les quatre bacheliers), migra nel '40 a Parigi, e passa dal mandolino suonato a Sète al pianoforte. Lavora alla Renault, collabora alla rivista anarchica Le monde libertaire con pseudonimi bizzarri (Jo Cédille, Pépin Cadavre). Nel '43 finisce al campo di Basdorf, vicino a Berlino: servizio di lavoro obbligatorio. Nella baracca, svegliandosi prima degli altri, scrive canzoni come Pauvre Martin e Brave Margot. Nel '44, in licenza per quindici giorni, si nasconde al 9 di Impasse Florimont, nel quattordicesimo arrondissement. Ci resterà fino al '66. La coppia che lo ospita è formata da Jeanne (La cane de Jeanne) e Marcel Planche (Chanson pur l'auvergnat). Tra topini bianchi, gatti neri, pesci rossi e un pappagallo verde, e rigorosamente niente donne (Jeanne è categorica) Brassens è a suo agio. La donna della sua vita l'ha incontrata nel '47, in métro: Joha Heiman, estone, divorziata, nata dieci anni prima di lui. La chiamerà Puppchen, bambolina. Staranno sempre insieme ma in appartamenti diversi.

Dell'esperienza tedesca a Brassens rimane un amico, Pierre Onteniente, da Brassens ribattezzato Gibraltar perché è forte come una roccia. A Brassens dei soldi non importa nulla, delega Onteniente. Che gli metterà all'inizio di ogni settimana un po' di soldi in un vaso. Quando finiranno, in due giorni o in un mese, Georges gliene chiederà altri. Si vantava di non essere mai entrato in una banca e diceva di essere così anarchico da attraversare regolarmente sulle strisce pedonali, pur di non dover questionare coi flic. In realtà, il Maggio non lo vede sulle barricate (è in ospedale a farsi curare i calcoli) ma per i circoli anarchici si esibirà sempre gratis.

Seconda svolta. È Patachou, cantante e proprietaria di un cabaret, a imporlo nel mondo della canzone, dove Brassens si presenta a trentun anni. Patachou lo spinge letteralmente sul palcoscenico e gli dice: "Tra un anno sarai più famoso di me". È il '52. Nell'ottobre '53 Brassens ha già fatto saltare il banco e conquistato Parigi, dal palco dell'Olympia, e la Francia. Pure, è l'antidivo: non "vive" le sue canzoni come Brel, non ha l'aspetto profetico di Ferré, non gesticola, non mima. Entra in scena con la chitarra tenuta come una zappa, lo accompagna solo un contrabbasso e sarà così fino all'ultimo. Una chitarra aggiunta, solo per i dischi. Anche oggi molti trovano "troppo facile, i soliti tre accordi" la sua musica. Sui testi, chapeau: grande abilità metrica, sapiente alternanza del ricordo classico e della parolaccia da strada, un vero esprit gaulois. Lo si può considerare il padre di tutti gli chansonnier con chitarra e, soprattutto, il cantore dell'amicizia, che con la morte e più dell'amore caratterizza le sue canzoni. Perfetto per l'Olimpya e per un tavola d'osteria. Questo è Brassens: grandemente semplice e semplicemente grande.
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Messaggio Da duful Lun 14 Mar 2011, 11:56

http://video.corriere.it/jovanotti-esclusivo/6f9d25f6-4d93-11e0-a87d-745e25f97bf2

Jovanotti esclusivo: Il backstage di «Le tasche piene di sassi»
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Messaggio Da Delilah Mar 15 Mar 2011, 16:21

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Messaggio Da Delilah Sab 19 Mar 2011, 12:42

Björk, sei concerti a Manchester per presentare “Biophilia”

Björk ha annunciato che la prossima estate si esibirà in sei concerti all’interno del Manchester International Festival.
Saranno delle performance intime quelle della cantante islandese, che
per l’occasione presenterà al pubblico il suo nuovo album, “Biophilia”, in un connubio di musica e installazioni multimediali.

“Biophilia”, settimo album in studio di Björk, non verrà presentato come un semplice concerto, ma sarà una sorta di installazione artistica multimediale,
comprensiva di interazioni con la rete e sperimentazione musicale (la
cantante introdurrà strumenti musicali da lei ideati, come un gigantesco
pendolo e un organo a canne digitale). L’idea del festival, infatti, è
quella di portare gli artisti fuori dal loro territorio naturale
spingendoli a sperimentare.
Björk non ha bisogno di spinte esterne per avventurarsi nel nuovo, però. I brani di “Biophilia” stesso, infatti, saranno acquistabili come una serie di apps multimediali,
comprensivi di videogiochi e video musicali. L’idea musicale che
innerva questo album è l’esplorazione dei suoni all’interno della
natura, mentre le canzoni si occuperanno di concetti (leggeri e
quotidiani) come l’espansione infinita dell’universo. Per chi volesse vederla dal vivo in Inghilterra, i biglietti sono già disponibili e le date sono:
30 giugno; 3, 7, 10, 13, 16 luglio.
http://www.musicroom.it/articolo/bj-rk-sei-concerti-a-manchester-per-presentare-biophilia/24033/
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Messaggio Da Delilah Sab 19 Mar 2011, 17:56

http://roma.repubblica.it/cronaca/2011/03/18/news/mannarino-13757292/

Alessandro Mannarino, cantautore sul Teverestorie musicali fra Trilussa e le nuove frontiere

L'infanzia a San Basilio, le storie e i libri raccontati dal nonno partigiano, le canzoni sospese fra
sogno e realtà, i personaggi che abitano un mondo marginale, Gabriella Ferri e Fabrizio De André, il prossimo album...


a cura di PIETRO D'OTTAVIO

Interviste, articoli e recensioni, chi canta e chi suona - Pagina 6 084900153-09078ebc-8619-43d3-92f2-3c40cc062c05

Il cantautore romano Alessandro Mannarino
Due anni vissuti freneticamente, dall´uscita del disco
d´esordio "Bar della rabbia" ai passaggi televisivi a "Parla con me" su
RaiTre da Serena Dandini, fino alle esperienze con le colonne sonore
teatrali e ai concerti sempre più affollati (con due sold out alla Sala
Santa Cecilia più un altro alla Sinopoli dell´Auditorium). Il
trentenne cantautore romano Alessandro Mannarino è protagonista di un
autentico exploit, che promette di ripetere grazie al secondo album
"Supersantos", con la produzione artistica di Tony Canto. In attesa del
concerto del 23 giugno a "Rock in Roma" all´Ippodromo delle
Capannelle, l´artista capitolino si racconta nel forum con i lettori di
Repubblica.

Mannarino.
Prima di incidere il
disco d´esordio, le cose sono andate molto più lentamente. Ho fatto una
gavetta di dieci anni tra locali e localini, qualche volta anche senza
essere pagato. Questo mi ha aiutato, per esempio, a "sentire" il
feedback del pubblico e a rimanere libero di fare le mie cose,
continuando a sfidare me stesso e quello che gli altri si aspettano da
me.
Flaminia Pischedda. I personaggi di "Bar della
rabbia" sono emarginati, zingari, ubriaconi... Hai avuto coraggio a
raccontare storie di questo tipo.

Mannarino. In
realtà non si è trattato di coraggio... Mi è venuto facile scrivere di
"barboni", visti i personaggi che ho incontrato durante la lunga
gavetta. Ma a volte questi personaggi rappresentano uno stato d´animo,
non è detto che un pagliaccio non sia, ad esempio, un impiegato che
soffre la routine di una vita sempre uguale. O magari il barbone
incarna la figura del ribelle che per uscire dai ranghi si ritrova a
combattere se stesso. Sul versante rom, mi è stato detto che mi sono
schierato un po´ troppo a loro favore. In realtà quando scrivi una
canzone non stai a pensare alla politica: arriva quel che arriva.
Pensando da cittadino, non credo molto negli stati che issano bandiere e
permettono la circolazione delle merci, ma non delle persone... E
siamo in anni in cui c´è un forte attacco verso i neri, i diversi, gli
zingari... Attacchi che diventano un alibi per giustificare le crisi
economiche: se perdete il lavoro è colpa loro. Ma se gli italiani sono
disoccupati la colpa è degli intrallazzi della politica, incapace di
governare l´economia... In Svizzera recentemente avevano raffigurato
gli italiani come topi in una campagna contro gli stranieri. Una
singolare coincidenza: Hitler fece utilizzare delle vignette
"satiriche" con ebrei e zingari raffigurati proprio come topi.
Personalmente ha conosciuto molti rom quando ho abitato, per un paio di
anni, davanti al campo Casilino 900. Dove ho girato il video di
"Tevere Grand Hotel": ho fatto quel clip per far vedere alla "casalinga
di Voghera" - che magari segue soltanto il telegiornale - una realtà
diversa. Fatta di esseri umani come noi, di tanti giovani con gli occhi
puliti che magari vogliono realizzarsi, non andare a rubare.

Laura Bertarelli.
Sta per uscire il tuo secondo disco: come sarà?

Mannarino.

Ho voluto fare le cose senza fretta, ma finalmente è pronto e si
chiama "Supersantos". Ci sono molte canzoni d´amore triste, comprese un
paio di serenate, una "lacrimosa" e una "silenziosa"... Ma anche una
"Rumba Magica", una ballata su un "onorevole", un pezzo in francese,
spagnolo, inglese e italiano (L´era della gran pubblicité)... Tanti
ritratti femminili, da Mary Lou a Maddalena. C´è più Francia e più
Europa che nel primo disco, tra ritmi manouche e gli echi etnici che
risuonano sulla Rive Gauche... Ed è un viaggio dal tramonto all´alba,
un intreccio di fatti e personaggi che si legano a un unico filo
conduttore: quello della fine del mondo. E infatti il disco si chiude
con "L´ultimo giorno dell´umanità"...

Valeria Ridolfi.
Dopo
un concerto ho conosciuto tuo nonno, che ti portava nelle sezioni del
vecchio Pci quando eri ragazzino. La tua musica è stata influenzata
dalla politica? O magari dalla laurea in Antropologia?

Mannarino.
Devo tantissimo a mio nonno, ha "educato" la mia anima. Un ex
partigiano, uno del popolo, che mi portava anche nelle osterie e mi
leggeva Trilussa, Hugo, Dickens. Mi faceva ascoltare Gabriella Ferri...
tutte cose che mi sono rimaste dentro. Però a un certo punto ho
realizzato che più delle ideologie contano le idee. La tradizione va
assimilata, ma non osservata come un dogma. Piuttosto va innovata.
Quello che ho cercato di fare con la musica romanesca: quando ho messo
dischi al Brancaleone mi è capitato di mixare Gabriella Ferri con
l´elettronica di Trentmoller. Un´esperienza che mi ha illuminato, mi ha
aperto la strada.

Giorgio Pagano. Da dove nasce l´immaginario a metà strada tra il magico e il metropolitano che racconti?

Mannarino.
Ho descritto la realtà e il sogno, mi sono saltate agli occhi quelle
storie che si nascondono tra le pieghe della routine. Cerco di captare
le evocazioni che può suggerire la strada, un tramonto, un piccolo fatto
solo apparentemente insignificante. Non c´è un modo preciso per
varcare le porte dell´altrove: so soltanto che l´esotico serve a
sognare. Ed è importante soprattutto quando non hai nulla. Soprattutto
se ti trovi su una barchetta di cartone e riesci a sentirti su un
veliero dei pirati... Però è importante che questo sogno, questa
cultura sia "biologica" e non "transgenica". Un buon sugo fatto in
casa, non polpa pronta industriale. Altrimenti la ricerca di qualcosa
che ti stimola la fantasia e ti aiuta a superare il malessere del
quotidiano diventa pura evasione fine a stessa. La mia impressione è
che spesso la cultura venga dosata come un minimo sindacale per tenerti
tranquillo: un narcotizzante per non far pensare troppo. È per quello
che ci impongono delle banalità musicali, televisive, cinematografiche:
guai se la massa scopre la vera poesia...

Simone Valitutto.
Musica balcanica e blues, stornelli popolari e citazioni colte...
nella Roma "creolizzata" del nuovo millennio, ti senti più "borgataro" o
"cittadino del mondo"?

Mannarino. Fino ai
quindici anni ho vissuto a San Basilio, dove di cultura ce n´è poca.
Però mi porto dentro tanti ricordi. E poi la cultura popolare è ricca,
anche un contadino ti può insegnare tanto... Per passare dalla borgata
al centro, per anni ho preso l´autobus, il 109... Finché non mi sono
spostato a Talenti. E ancora qualche anno dopo vicino all´università.
Mi sento entrambe le cose, tanto "borgataro" che "cittadino del
mondo"... in fondo devo essere "creolizzato" anche io!

Mauro Elia. Quanto conta nella tua formazione musicale la figura di Fabrizio De André?

Mannarino.
Ho consumato i suoi dischi. È un maestro, un poeta tra i più grandi
della lingua italiana che si è messo sullo stesso piano degli "ultimi"
che ha raccontato. Ed era dotato di una fantasia straordinaria, è stato
un "dito medio" alzato contro la piccola borghesia. Interviste, articoli e recensioni, chi canta e chi suona - Pagina 6 CheckSecurity.chk?Action=Update&url=LISTARM20110318_14

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(18 marzo 2011)
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Messaggio Da Ospite Mer 23 Mar 2011, 09:19

Io & Clapton nella notte
degli «uomini in blues»



di Pino Daniele
NAPOLI
- Il conto alla rovescia ormai è iniziato, e davvero non vedo l’ora di
incrociare la mia chitarra con quella sacra di Mister Manolenta, di sua
maestà Eric Clapton. L’appuntamento è per il 24 giugno, ma allo stadio
Simonetta Lamberti di Cava dei Tirreni, invece che al San Paolo di
Napoli, come avevamo sperato, come avevamo chiesto.

Purtroppo per riaprire alla musica lo stadio che fu di Maradona e oggi è
di Cavani, serve tempo, mi dicono che Aurelio De Laurentiis e la
società si sono mostrati disponibili e interessati, ma il tempo a
disposizione è poco, così il dado è tratto, e torno a Cava, in uno
stadio che conosco bene e dove ho suonato spesso, anche con un altro dei
chitarristi più grandi del mondo, Pat Metheny. Stavolta ci porterò «la
mano sinistra di Dio», il bluesman bianco più importante del mondo, uno
dei miti della mia giovinezza, e non solo mia.

Eric l’anno scorso mi ha fatto l’onore di invitarmi, unico italiano, al
”Crossroads Festival” che organizza a Chicago, con la crema della scena
chitarristica e blues internazionale: B.B. King, Bert Jansch, Buddy Guy,
Jeff Beck, Jimmy Vaughan, Joe Bonamassa, John Mayer, il mitico albino
Johnny Winter, Robert Cray, Stephan Grossman e gli ZZ Top, le barbe più
lunghe e più rockettare del Texas.

Roba da far tremare i polsi a uno che, come me, si era definito l’uomo
in blues e in quel momento si trovava in mezzo a tanti uomini/blues, a
partire da Clapton, naturalmente. A distanza di un anno da
quell’esperienza, tocca a me invitare l’ex Cream a Napoli, vabbè a Cava
de’ Tirreni, che però è quasi la stessa cosa, ed è un posto dove hanno
suonato Vasco e Pink Floyd, Dylan e Tina Turner, Clash e tanti altri,
visto che nel capoluogo di regione, in quella che dovrebbe essere la
capitale del Sud, insieme a tanti problemi ben più gravi manca anche uno
spazio per la musica, anzi mancano spazi per fare musica, e non penso
solo ai megaconcerti.

Tra quei problemi ce n’è uno a cui noi, alla nostra maniera,
contribuiremo: il concerto si intitola «In aid of children» perché
useremo parte dell’incasso per l’acquisto di una tac per il centro di
oncologia pediatrica del Pausilipon, un ospedale di Napoli, e per
sostenere e finanziare le attività della fondazione Open Onlus. Torno a
Napoli: vabbè a Cava de’ Tirreni, dopo il concertone dell’8 luglio in
piazza del Plebiscito con il supergruppo e i superospiti, non potevo
certo volare basso.

E difficilmente potrei volare più in alto, incrociando le mie sei corde
con quelle del mio ospite d’eccezione. A proposito, lo sapete che per
aiutare il Crossroads Center, il centro di disintossicazione che ha
aperto ad Antigua, Clapton ha appena messo all’asta a New York 75
chitarre e 50 amplificatori della sua collezione incassando la bellezza
di 2 milioni e 150.000 dollari? Ma torniamo alla musica: Eric arriverà
un giorno prima e solo allora proveremo insieme, decideremo che cosa
suonare insieme e che cosa separati, dove uniremo i nostri strumenti e
dove le nostre voci.

Per lui sarà l’unico concerto italiano dell’anno, un vero evento,
insomma, e da evento è anche il fatto che si appoggerà in tutto e per
tutto alla mia band: Rachel Z. alla tastiera, Gianluca Podio al piano e
le tastiere, Omar Hakim alla batteria, il giovane talento Solomon Dorsey
al basso e al contrabbasso, speriamo di poter avere la disponibilità di
un vecchio amico come Mel Collins ai sassofoni. Io sono pieno di voglia
di suonare, anche se è difficile occuparsi di musica mentre dai tg si
alternano le notizie della guerra in Libia a quelle dello tsnunami in
Giappone con conseguente dramma nucleare.

Anche
Slowhand è entusiasta, anche perché gli ho promesso di spiegargli
Napoli, la città, anzi la terra dove la mia chitarra affonda le sue
radici e trova il suo sound, «il paradiso abitato da diavoli» di cui ha
tanto - nel bene e nel male - sentito parlare. E lo farò con
l’entusiasmo di un lazzaro felice, di un artista che realizza uno dei
sogni della sua carriera. Era tanto tempo che non mi sentivo così.
Certo, peccato per il San Paolo, ma nella vita non si può avere tutto e
nel vedere il manifesto che annuncia il mio concerto del 24 giugno con
Eric Clapton mi sembra di aver già avuto abbastanza.

E molto darò, statene sicuri. Vi aspetto allo stadio di Cava, guagliù,
Napule è anche un viaggio di qualche chilometro per cantare, suonare e
vivere al massimo, quella notte. E sempre.

martedì 22 marzo

http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=142731&sez=SPETTACOLO

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Interviste, articoli e recensioni, chi canta e chi suona - Pagina 6 Empty Re: Interviste, articoli e recensioni, chi canta e chi suona

Messaggio Da duful Mer 23 Mar 2011, 15:51

http://milano.corriere.it/milano/notizie/concerti_e_locali/11_marzo_22/scoprite-i-talenti-190278245151.shtml

Viviana Pia Lasaracina - pianoforte
Suono dolce e ardente: così l’abbiamo sentita alle Audizioni, Viviana Pia Lasaracina, pianista ventiduenne, in arrivo dalla provincia di Taranto. «Da Roccaforzata, non proprio una metropoli...», quasi si giustifica la giovane artista. Anzi, doppio merito, se da un paese piccolo nasce un talento grande. Lasaracina ha studiato con Benedetto Lupo al Conservatorio di Monopoli. «I miei genitori non sono musicisti, ma hanno sempre amato il pianoforte. Quando avevo sei anni, hanno provato a farmi prendere qualche lezione: mi piaceva, e la cosa via via si è fatta seria. All’inizio c’è quel briciolo di incoscienza, che aiuta! Le difficoltà vengono dopo...». Gusti, preferenze? «Mi piace tutto quello che decido di studiare. Lupo mi raccomandava di "essere" quello che suono. Il mio ultimo colpo di fulmine è la musica russa: Rachmaninov e Skrjabin». Oltre il pianoforte che cosa fa? «Provo a dedicarmi solo al piano. Ma mi do una scadenza: se non combino nulla nei prossimi tre-quattro anni, passo all’insegnamento. Mi piacerebbe anche studiare lingue, magari inglese e spagnolo». Ascolta solo classica? «Tutt’altro, mi piacciono i Negramaro, Elisa e i Queen. Ma la mia ultima scoperta è Marco Mengoni, vincitore di "X Factor", è grandissimo, eccezionale! I miei amici non ne possono più: parlo solo di lui...».
CHE COSA SUONA -
Ascolteremo Viviana Pia Lasaracina nel «Momento Musicale» n. 4 di Sergej Rachmaninov e nella «Rapsodia spagnola» di Franz Liszt.

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Messaggio Da Delilah Lun 28 Mar 2011, 15:53

Paolo Benvegnù: «Siamo l'Orlando furioso del rock»


di Federico Fiume


La trasformazione di Paolo Benvegnù da individuo a identità multipla, come Luther Blisset o Wu
Ming, sembra essere ormai completata. Il nome proprio dell’artista
lombardo (e toscano d’adozione) già da tempo portava avanti a sé
l’articolo plurale “i”, a identificare un gruppo di musicisti che con
Benvegnù condivide da anni studi di registrazione e palchi. Il passo
decisivo in questa direzione però, è il nuovo, splendido album Hermann,
il più collettivo realizzato dall’ex leader degli Scisma nel corso
della sua carriera solista. Un esempio di totale fusione fra l’artista e
la sua band - ora in tour - in cui quel che conta è l’amalgama che ne
scaturisce.
In Hermann la qualità letteraria e poetica dei testi respira
all’unisono con scelte musicali, sonorità e arrangiamenti
dettagliatamente coerenti con la narrazione, dando vita ad un’opera dal
valore artistico indiscutibile, ma che permette anche un ascolto
piacevolmente “leggero”, come si conviene a delle canzoni. Perché quelle
contenute in Hermann sono innanzitutto belle canzoni, poi,
volendo approfondire, rivelano una stratificazione di sensi e
significati che si esprimono attraverso riferimenti mitologici,
filosofici, letterari e costruzioni musicali raffinatamente legate ai
significati dei testi. Il lavoro ponderato e intenso che sta dietro a Hermann
è lì, evidente senza essere invadente e rende ancor più prezioso
quest’ultimo lavoro del gruppo. Della sua genesi e di molte altre cose
abbiamo parlato in una lunga e piacevole conversazione con colui che
resta comunque il titolare.

“Dal 2007, quando è uscito Le labbra, abbiamo cominciato a
rappresentarci come i Paolo Benvegnù, perché in realtà è proprio così.
Prima scrivevo tutto io, poi è diventato sempre più un lavoro di gruppo,
particolarmente in questo disco, dove ci sono tre pezzi scritti insieme
da me e Andrea, uno di Andrea, uno di Guglielmo… Io non riesco a far le
cose da solo e ho trovato degli interlocutori con cui mi trovo
benissimo. Del resto anche con gli Scisma era una situazione molto
simile. Diciamo che sono tornato ad essere il cantante di un gruppo.
Credo che insieme agli altri siamo riusciti a dare profondità e altezza a
ciò che prima scrivevo da solo. Se prima parlavo di bene o di male o di
verità, queste parole avevano meno spessore. Condividerle ed
approfondirle con gli altri ha fatto crescere tutto. Così la vita
immaginata di Hermann rappresenta quella di tutti gli uomini attraverso
la nostra esperienza”.

Ecco, gli Scisma. Mi è sembrato di trovare in “Hermann” qualche reminiscenza di quelle origini…

Sì, in particolare del periodo di Armstrong… lì c’era il concetto
della perdita del sacro, della poesia, nel momento in cui l’Uomo arriva
sulla luna e ci mette la propria impronta, cancellando così tutta la
poetica legata alla luna come desiderio e facendola diventare qualcosa
di concreto. In questo caso invece stiamo parlando dell’Uomo. L’idea era
quella di fare una specie di “canzone di gesta”, come L’Orlando furioso,
come un libro. Io non riesco più a concepire a un disco come una serie
di canzoni, mi viene da pensarlo più come un contenitore di contenuti
letterari, che sono cantati e suonati perché è la nostra maniera di far
le cose. Forse per la prima volta sono partito dal mito, dagli
archetipi, per arrivare alla vita di un uomo.

Tempo fa mi dicevi che il live Dissolution era il capitolo finale di un tuo percorso artistico. Hermann è quindi l’apertura di una nuova fase in cui cambia la direzione rispetto ad una visione più introspettiva?

Penso di sì, credo che questo sia un po’ l’inizio, anche se nella realtà
non so che sviluppi possa avere, ma non mi interessa neanche. Non
sapere cosa succederà mi piace, mi sembra di essere tornato quindicenne.
Non avendo più niente da conquistare, ovvero non avendo uno spazio
esatto da riempire perché noi siamo non soltanto outsider ma
assolutamente tangenti al vortice dell’industria musicale italiana, non
dobbiamo far altro che seguire il senso della nostra bellezza. Ci
saranno sorprese, soprattutto per noi, e questo mi fa sentire un
bambinetto, una splendida sensazione.

L’album, pur nella sua rigorosa coerenza musicale, utilizza
sonorità diverse nelle singole canzoni, cucendole addosso ai testi e non
disdegnando nemmeno precise citazioni stilistiche, come in Good Morning Mister Monroe


Dal brano 8 al brano 10 si parla del Novecento, il pezzo precedente si chiama Sartre Monster e ha a che vedere con la sensibilità verso il cinismo. Good Morning Mister Monroe è
stilizzato perché Henry Miller, che per me è Mister Monroe in quanto
marito di Marylin Monroe, è stato uno stilizzatore della letteratura,
così come Andy Warhol, che considero l’altro Mister Monroe, ci ha
avvisato del fatto che chiunque avrebbe avuto il suo quarto d’ora di
celebrità, esattamente come accade nella moderna televisione. Quindi
abbiamo arrangiato il brano in questo modo perché gli anni ’80 sono è il
periodo di maggior stilizzazione della musica moderna. Poi c’è Date fuoco che
parla dell’avvento del traffico e dunque da quel punto cominciano ad
entrare nei pezzi anche suoni e rumori della contemporaneità, mentre
prima il cd è sviluppato all’inizio come una marcia, tutto in 4/4, poi
come una danza, tutto in 3/4.

Perché hai scelto “Hermann come nome del personaggio protagonista del cd?

Contiene Her, pronome femminile inglese, poi Man, uomo. Vuol dire che
ogni uomo viene da una donna, poi all’interno di questo nome, poiché è
tedesco ma di origini ebraiche, ci sono sia il persecutore che il
perseguitato. Inoltre è un nome che nel tedesco medievale significa
“guerriero” e in fondo noi siamo qui perché qualcuno dei nostri avi ha
vinto delle guerre e noi ne godiamo i frutti.

Ci sono anche degli anglicismi nel disco, una novità per te…

Sì, una novità ma anche un ritorno agli Scisma di Tungsteno, ad esempio. Love is Talking vuole
dare un messaggio universale, dicendo che nella Storia ci sono
efferatezze e momenti sublimi, ma in ogni caso tutto questo ha a che
vedere con la vita e quindi con l’amore, inteso nel suo significato
onomatopeico, quello di a-mors, il contrario della morte. Ecco perché
l’idea di dirlo in inglese, per esprimerlo il più possibile come
concetto universale.

E ora il live con cui state girando l’Italia (lunedì 28 siete al
Circolo degli artisti di Roma): cosa deve aspettarsi il vostro
pubblico?


C’è una parte visiva realizzata con delle proiezioni ed è diviso in due
parti: nella prima le canzoni nuove e le altre nella seconda. L’idea è
di tornare a fare concerti rigorosi. Noi Paoli Benvegnù siamo un po’ una
compagnia di giro e spesso nei concerti diciamo anche un mucchio di
stronzate, così abbiamo deciso che, in un momento in cui tutti dicono
stronzate, vogliamo tornare ad essere un po’ più seri.


http://www.unita.it/culture/paolo-benvegnu-siamo-br-l-orlando-furioso-del-rock-1.279210
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Messaggio Da duful Mar 29 Mar 2011, 13:31

http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/03/29/vasco-vivere-o-niente/?ref=HRESS-22


Esce oggi, 29 marzo, VIVERE O NIENTE (Emi Music) il nuovo album di VASCO ROSSI che torna, a 3 anni di distanza da Il mondo che vorrei, con 12 inediti, anticipati dal singolo Eh già! XLha incontrato Vasco nel suo studio di Bologna per una lunga chiacchierata da cui nasce il servizio di copertina del numero di aprile, in edicola da giovedì 31 marzo. Un’intervista ExtraLarge, ricca di contenuti multimediali pubblicati quotidianamente su sito e pagina Facebook di XL, dove vedrete foto esclusive che mostrano il suo mondo ed emozionanti video dove Vasco, cantandole e ascoltandole con noi, racconta in diretta le canzoni del suo nuovo disco.

Ecco una prima parte dell’intervista che potete leggere solo sul web. Il meglio lo trovate su XL di aprile, dove Vasco ci ha raccontato tutto (ma non solo) del nuovo album.


di Christian Zingales

Non c’è mai stato un momento della tua vita in cui hai avvertito la presenza di una forza superiore che andava oltre il libero arbitrio umano?
«Io penso che la forza superiore è la natura, l’uomo spesso deve subire le leggi della natura, quelle chimiche, anche quelle ingiuste. Non c’è giustizia nella natura, non c’è tolleranza, noi abbiamo un modo di vedere diverso, e anche se non capiamo e non accettiamo queste leggi dobbiamo subirle. Noi abbiamo l’amore, che è la grande forza, quella che possiamo mettere in gioco».

Quando sei arrivato sulla scena hai azzerato l’estetica e il tipo di comunicazione dei cantanti italiani fino a lì, hai cambiato completamente le regole…
«Volevo cambiare pagina rispetto al periodo dei cantautori, che pure ho amato. Negli anni 80 la gente non aveva più voglia di ascoltare, come neanche ora del resto, quindi c’era bisogno di frasi veloci, slogan, canzoni che fossero più sintetiche, e volevo esprimermi con il linguaggio del rock, che poi era il mio modo di comunicare. I cantautori degli anni Settanta poi andavano sul palco con spontaneità, la bottiglia di vino, il dibattito, erano forti ma molto semplici.Io volevo lo spettacolo, pensavo ai live dei Rolling Stones, che sono sempre stati il mio punto di riferimento, ma anche in Italia ero rimasto colpito dalla PFM o dai primi concerti spettacolari dei Pooh…».

Ha sempre colpito la tua sincerità oltre la comunicazione, si vedeva che arte e vita per te erano la stessa cosa…
«Cantavo come vivevo e vivevo come cantavo, e andavo avanti per quella strada lì, non perché mi volevo autodistruggere, ma perché calcolavo che anche se mi autodistruggevo era tutto perfetto, era una storia con un suo senso. Tra l’altro se morivo contro un albero nell’85 sarebbe stato molto più comodo adesso: ero rimasto là, bello, è stata dura poi continuare, vorrei vederlo adesso Jim Morrison…».



Molto meglio che tu sia sopravvissuto al di là della retorica rock…
«Mi sono trovato sopravvissuto per caso, perché se andavo avanti in quel modo finiva così, anche perché poi mi interessava fare una mia guerra in quel periodo, anche perché poi non ho mai fatto niente da non lucido nonostante la vita che facessi. Ho sempre scelto come rappresentarmi, per esempio quando sono andato a Sanremo».

Quello è stato un momento centrale, non solo per la tua carriera ma proprio per il costume del nostro paese…
«In quel caso è stato Ravera il grande, l’organizzatore di allora, che mi ha voluto, io ero perplesso, sono un rocker dicevo, ma lui mi ha detto che avevo bisogno di una platea nazionale, e aveva ragione. Quando mi ha assicurato che avevo carta bianca, ho pensato che era l’occasione giusta per andare e fare il matto. L’importante non era certo vincere ma farmi notare, e la canzone, Vado al massimo, era perfetta in quel senso. Lì è successo che sono andato in finale io e hanno eliminato Claudio Villa, il quale ha fatto un casino per questo. È stato un segno dei tempi che Ravera aveva capito. Il microfono in tasca era una cosa anche studiata, non tralasciavo niente, sembravo uno sgarruppato fuori di testa ma c’era dello studio. A un certo punto però il microfono mi è caduto, e in quel momento lì ho pensato che se mi fossi chinato a raccoglierlo avrei fatto la figura dello sfigato, e quindi ho fatto finta di averlo fatto apposta e me ne sono andato. L’anno dopo dovevo tornarci per riconoscenza a Ravera, ma stavolta la perplessità era sul serio forte perché se vai una volta a fare il matto va bene, ma se vai due volte allora sei veramente matto. Solo che l’idea di andarci a fare Vita spericolata, che sentivo che era la canzone della mia vita, era un godimento, intendo l’idea di andare lì a dire in pratica “voglio una vita che andate tutti affanculo, prima la platea di Sanremo e poi tutti quanti” era troppo stimolante».

Leggi molto ultimamente?
«È una decina di anni che sto leggendo di tutto, prima non ci provavo neanche perché per leggere devi metterti a una velocità diversa. Ora ho scoperto che è una grande fuga dalla realtà, mi è piaciuta molto la filosofia. Tra l’altro non è difficile da leggere come pensavo. Il primo filosofo che ho letto chiaramente è stato Nietzsche, ha dei momenti di grande illuminazione (come in quella scena dove c’è uno che picchia un cavallo e uno che si mette a piangere, e mettono in manicomio quello che piange), e poi ha dei momenti chiaramente controversi, i passaggi sul popolo ebreo, io ne parlo a volte con la mia ufficio stampa che è ebrea, lei mi dice che loro sono i primi, e gli dico che anche noi di Zocca siamo i primi. Poi stimo molto certi concetti loro anche se le dico che poi è arrivato Gesù Cristo che ha sviato un po’ il discorso, perché se non porgi l’altra guancia la faida non finisce mai, bisogna che ci sia qualcuno che perdoni, io non ci riesco nella mia vita ma lavoro molto sul dimenticare».

Sei l’unico italiano che abbia avuto il coraggio di sfidare quella che Lou Reed definisce la parte selvaggia, e quel brivido che hai portato vedendo adesso il video di Eh già si può leggere proprio nella riuscita del tuo percorso…
«Io vengo da un’educazione cattolica, ed è andato tutto bene fino a quando a dodici anni sono andato in un collegio di preti, e lì ho conosciuto l’istituzione Chiesa, ed è saltato tutto».

Ti piace la televisione di oggi?
«La televisione, da sempre, è un mezzo che inevitabilmente ti porta a non essere sincero. Viene fuori una mediazione un po’ buonista, l’ha fotografata perfettamente Pasolini una volta, quando durante un’intervista con Enzo Biagi ha detto che non era libero di dire tutto quello che voleva perché altrimenti l’avrebbero arrestato per vilipendio. Poi oggi io sono offeso dai teatrini televisivi che si vedono ormai non solo di domenica. Mi piacerebbe tornare a fare la radio, ma la radio la fai a tempo pieno, non la fai per scherzo. Il mio mito sono quei DJ mitologici di film tipo “Lupo Solitario” o “Punto Zero”, ma è un’utopia di questi tempi, infatti io ascolto solo Radio Rai, almeno lì ci senti dei discorsi».
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Messaggio Da duful Mar 29 Mar 2011, 19:22

http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=20&ID_articolo=1400&ID_sezione=12&sezione=

Esce "How to compose popular songs that will sell".
In 26 anni, dal leggendario concertone benefico Live Aid del luglio 1985 che organizzò con richiamo planetario di buone vibrazioni e intenzioni, Sir Bob Geldof ha assunto sulla sua testa (eternamente spettinata e sempre più grigia) l'aureola del santo laico; ha però perso l'aura dell'artista rock che era stato prima, con i Boomtown Rats, autore di almeno un successo, l'ampiamente condivisa «I don't like mondays». Nella musica è tornato ma raramente, e fa sorpresa «How To Compose Popular Songs That Will Sell», album che esce in questi giorni, tutto diverso dal tristissimo «Sex, age&death» di 10 anni fa. Partenza folgorante, e poi canzoni apprezzabili, con tributi intenzionali (e non) a Tom Waits, George Harrison, Plant o Lanois. Canzoni solari e autobiografiche, tanto che la conclusione è una traccia fantasma, «Young and Sobert», dove racconta l'intera sua vita, e affida alla morosa (l'attrice Jeanne Marine) il merito di averlo fatto ridiventare giovane e sobrio a 58 anni e mezzo. A Roma per la promozione, reduce da un Letterman Show e giovedì 31 ospite della Dandini a «Parla con me», Geldof è interlucutore generoso.
Restituito alla musica, caro Geldof. Ha anche migliorato la sua interpretazione, usa il falsetto, sussurra...
«Me lo dicono tutti. Ma nell'ultimo disco più che cantare parlavo, era così triste. Mi piace cantare. Bisogna vedere questo disco come la fine del libro: l'altra volta, mia moglie mi aveva lasciato, si era messa con Michael Hutchence che consideravo mio fratello. Sono poi morti tutti e due. Ero distrutto, il dolore era enorme, universale. Non mi ricordo il processo che diede vita al disco, ho dovuto sterilizzare la storia. Sono andato a Parigi, un giorno. Odiavo le donne. A una cena ce n'era una, bella, e non l'ho proprio filata; ma lei avvertì qualcosa di amabile in me, che ero così detestabile. Quando crolli, se c'è una persistenza di amore, l'unica risposta è tornare a qualche emozione, e gradualmente l'anima si è ripresa: a 58 anni e mezzo ho ritrovato l'adolescente in me, aveva ragione Lennon: All You Need is love».
«Young and Sober» è un piccolo riassunto della sua vita intera.
«Ci ho messo 5 minuti a scriverla. In Irlanda c'è una gara per scolari, dove devi comporre qualcosa in 5 minuti. Una specie di Pop Idol nei '50. Il giudice, la nostra Maria De Filippi, era il prete. Una signora suonava il piano, nessuno in teatro. Una roba terribile, lo odiavo, ecco perché all'inizio faccio il prete con accento irlandese».
«Come comporre canzoni popolari che vendano», è il titolo. Lei è interessato a vendere dischi?
«Certo, voglio che si sentano. L'ispirazione del titolo viene da un vecchio libro che ho visto da un amico. E comunque il disco sta andando bene, internet ti dà subito un riscontro».
E' contento di avere 58 anni e mezzo, come canta lei?
«E' la decade migliore. Quando hai 23 anni e cominci, hai studiato storia e magari pensi che vorresti fare l'ingegnere, poi nei 30 amori e figli ti sconquassano, nei 40 hai guai d'amore e bisogno di soldi».
In questi anni ha sempre pensato alla musica anche facendone poca?
«Io vedo il mondo attraverso la prigione del rock'n'roll. Mia mamma è morta che avevo 7 anni, mio padre stava fuori tutta la settimana per lavoro. A 11 anni, nell'Irlanda fredda e grigia, ero sempre da solo. Cucinavo, leggevo libri e sentivo la radio: poi all'improvviso ecco Jagger, Lennon, Dylan, che articolavano le sensazioni che io non riuscivo a esprimere. Ci diedero la lingua del cambio, il rock, e ancora così io mi rapporto al mondo».
I giovani non hanno più il rock'n'roll.
«La settimana scorsa a Houston ho fatto un discorso, "Rock'n'roll, la fine della rilevanza". Ma viviamo tempi eccitanti, il potere sta muovendo verso Est, l'Ovest è come un coniglio abbagliato dalla luce in mezzo alla strada. Come maggioranza, noi rubiamo il futuro ai giovani disoccupati, in una perversione dell'ordine naturale. Bisogna aiutare gli africani nei loro paesi: io sono stato a Lampedusa con Baglioni, l'immigrazione lì è un problema che non è giusto che risolviate da soli».
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Messaggio Da duful Mar 29 Mar 2011, 19:26

http://www3.lastampa.it/musica/sezioni/note-classiche/articolo/lstp/395444/


Chailly va in hit parade
"E ora ci provo con Bach"



"Lavorare con il pianista Ramin Bahrami è un privilegio"

EGLE SANTOLINI
escono i cinque concerti per pianoforte di Bach che ha inciso con Ramin Bahrami e intanto Riccardo Chailly è in un imprecisato eremo in Svizzera a studiare Mahler: incombe il centocinquantesimo compleanno e lo vogliono sul podio a festeggiare, «il 4 aprile con la Filarmonica della Scala (prova aperta il 3 in favore della Scuola di senologia del professor Veronesi, ndr) per la Settima sinfonia, la più complessa, e a maggio a Lipsia, per un Festival tutto dedicato a Mahler».
Maestro, Bach registrato nella città di Bach, e con un solista che a Bach si sta dedicando in maniera esclusiva.
«Già, ed è stata proprio l’opportunità di lavorare con Ramin ad affascinarmi. Pensi quanto è poco prevedibile e quanto è coraggioso un pianista giovane che, mentre tutti fanno di tutto, si dedica solo e soltanto a un autore. Va detto pure che, se mi obbligassero con una pistola alla tempia a scegliere un solo compositore, direi Bach anch’io. È un apice definitivo. Nella Matthäus Passion c’è già scritto tutto, il resto è soltanto ripetizione».
E com’è andata?
«Si è dimostrato coraggioso e non accomodante anche nell’esecuzione. Per tornare alla purezza filologica gli ho imposto scelte tecniche molto scomode. Basti la partenza del primo Concerto, l’Allegro. Nessuno lo fa così spinto in avanti, così accelerato. Ramin e l’orchestra mi sono venuti dietro in modo ammirevole. Lui è un ragazzo colto, simpatico».
Con Bollani e la Rapsodia in blu avete venduto come se foste usciti da «X Factor».
«Mi dicono che siamo prossimi al disco di platino, sa, mi sembrano quelle cose un po’ da anniversari di nozze... Dire che non me l’aspettavo è usare un eufemismo. Ma non si sa mai dove si va a parare. Quando registrammo, ad Amsterdam, le Jazz Suite di Shostakovich, i professori d’orchestra la presero un po’ come uno scherzo, un gioco. È finita che quella musica l’ha usata anche Kubrick».
Già, i titoli di testa di «Eyes Wide Shut».«Dichiarò di aver trovato in quel valzer il senso di tristezza e di decadenza che caratterizzava quella coppia».
E lei al cinema ci va?
«Poco: il mio cinema è diventato il salotto di casa. Ho amato moltissimo Le vite degli altri».
Continua a vivere per buona parte dell’anno a Milano...
«Alt: a Paderno Dugnano: sono quei 17 chilometri che mi salvano. È una città che assorbe molto, se la si frequenta troppo si rischia la saturazione».
Dicevamo: Milano. E ogni tanto si fa il suo nome come direttore musicale della Scala, sempre che si decida di nominarne uno.
«Lissner ha idee molto precise e personali al proposito, e finora se l’è cavata benissimo. Dovrebbe chiedere a lui che cosa vuol fare. Quanto a me, ho molti altri impegni ma torno spesso alla Scala e sono felice di realizzare progetti speciali, quando se ne presenta l’occasione. Certo è un teatro che ho nel sangue: il mio primo ricordo quando io ero bambino e andò in scena un balletto su musiche di mio padre Luciano, che della Scala è stato anche direttore artistico, Fantasmi al Grand Hotel, da Dino Buzzati. E sarò sempre grato a Claudio Abbado che mi prese come suo assistente quando avevo diciott’anni».
Nuovi dischi per la hit parade?
«Con Bollani registreremo l’anno prossimo i due concerti di Ravel, vogliamo continuare a esplorare quella zona interessantissima degli Anni Trenta fra jazz e classica. E con Bahrami pensiamo ai concerti bachiani per due e tre pianoforti. Ma lì toccherà trovare altri solisti speciali, come piacciono a me».
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